mercoledì 28 maggio 2008

Corte Costituzionale e foro competente per la separazione e divorzio

Corte Costituzionale , sentenza 23.05.2008 n° 169

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), limitatamente alle parole «del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza,».”

Preciso è l’intervento della Corte Costituzionale che ha ritenuto violato il criterio di ragionevolezza nella novella del 2005 che prevedeva quale foro competente sia per il giudizio di separazione che per il divorzio “il Tribunale del luogo dell’ultima residenza comune dei coniugi ovvero in mancanza nel luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio”, mantenendo, per il resto gli altri criteri di competenza individuati dall’art. 8 della legge n. 74 del 1987.

In sostanza, è del tutto evidente che a seguito della domanda di separazione – giudiziale o consensuale - i coniugi vengono autorizzati a vivere separatamente con la conseguenza che nella successiva domanda di divorzio è irragionevole radicare la competenza in ragione di un criterio basato sulla “ultima residenza comune” che per effetto della separazione, se c’è stata, è venuta meno.

A ciò si aggiunga, la precisazione che per i coniugi “la residenza comune” può non essere mai esistita, in quanto, ex art 144, I comma, c.c., l’obbligo di fissazione di residenza della famiglia non esclude che, i coniugi per motivi possano avere residenze diverse.

CORTE COSTITUZIONALE

SENTENZA 23 MAGGIO 2008, N. 169

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai Signori:

- Franco BILE Presidente

- Giovanni Maria FLICK Giudice

- Francesco AMIRANTE "

- Ugo DE SIERVO "

- Paolo MADDALENA "

- Alfio FINOCCHIARO "

- Alfonso QUARANTA "

- Franco GALLO "

- Luigi MAZZELLA "

- Gaetano SILVESTRI "

- Sabino CASSESE "

- Maria Rita SAULLE "

- Giuseppe TESAURO "

- Paolo Maria NAPOLITANO "

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), promosso con ordinanza del 16 febbraio 2007 dal Tribunale ordinario di Pisa nel procedimento civile vertente tra C. S. e C. C., iscritta al n. 586 del registro ordinanze 2007 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 35, prima serie speciale, dell'anno 2007.

Udito nella camera di consiglio del 2 aprile 2008 il Giudice relatore Alfio Finocchiaro.

Ritenuto in fatto

1. – Il Tribunale ordinario di Pisa, nel corso del procedimento promosso con ricorso depositato in data 17 marzo 2007 per la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario contratto tra il ricorrente e la resistente, ha sollevato, con l'ordinanza in epigrafe, questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), «nella parte in cui individua come foro dei procedimenti contenziosi, aventi ad oggetto lo scioglimento e/o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi».

Il giudice a quo riferisce che il Presidente del Tribunale di Pisa ha rilevato d'ufficio la incompetenza territoriale di detto Tribunale, la cui competenza per territorio non coincide con il luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi, che è, come risulta dalle allegazioni delle parti, Napoli, mentre il ricorrente risiede attualmente in Misano Adriatico (Rimini) e la resistente, unitamente al figlio minore, in S. Giuliano Terme (Pisa).

Aggiunge il rimettente che le parti hanno insistito per trattare la causa dinanzi al Tribunale di Pisa, e che il ricorrente ha eccepito la illegittimità costituzionale del censurato art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970, per violazione del diritto al giusto processo (art. 111 della Costituzione), del diritto al giudice naturale precostituito per legge (art. 25 della Costituzione), del principio di uguaglianza (art. 3 della Costituzione).

Ciò posto, il Tribunale rimettente ritiene la questione di costituzionalità non manifestamente infondata in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Osserva, al riguardo, il giudice a quo che la disposizione denunciata pone un criterio di competenza territoriale inderogabile che, come accade nel caso di specie, può risultare privo di un effettivo collegamento con le parti e con i figli minorenni eventualmente coinvolti nel procedimento, e che, di conseguenza, essa appare del tutto irragionevole, pregiudizievole per l'esercizio del diritto di difesa e suscettibile di creare una ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni analoghe, tenuto conto dei diversi criteri di competenza territoriale previsti dal medesimo art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970 (con riferimento ai procedimenti instaurati dai coniugi con domanda congiunta e/o con riferimento ai procedimenti contenziosi tra coniugi che non abbiano mai avuto una residenza comune) e dall'art. 709-ter, primo comma, del codice di procedura civile (con riferimento ad altri procedimenti che coinvolgono i minori).

Né, ad avviso del giudice a quo, stante il chiaro ed inequivoco tenore letterale della disposizione in questione, vi sarebbe spazio per una diversa interpretazione costituzionalmente orientata.

Considerato in diritto

1. – Il Tribunale ordinario di Pisa, investito di un ricorso per la dichiarazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio, dubita della legittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale), comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), «nella parte in cui individua come foro dei procedimenti contenziosi, aventi ad oggetto lo scioglimento e/o la cessazione degli effetti civili del matrimonio, il luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi», per violazione: a) dell'art. 3 della Costituzione, sia sotto il profilo della irragionevolezza della disposizione, la quale pone un criterio di competenza territoriale inderogabile che, come accade nel caso di specie, può risultare privo di un effettivo collegamento con le parti e con i figli minorenni eventualmente coinvolti nel procedimento, sia sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento rispetto ad altre situazioni analoghe, tenuto conto dei diversi criteri di

competenza territoriale previsti dal medesimo art. 4, comma 1, della legge n. 898 del 1970 (con riferimento ai procedimenti instaurati dai coniugi con domanda congiunta e/o con riferimento ai procedimenti contenziosi tra coniugi che non abbiano mai avuto una residenza comune) e dall'art. 709-ter, primo comma, del codice di procedura civile (con riferimento ad altri procedimenti che coinvolgono i minori); b) dell'art. 24 della Costituzione, per il pregiudizio all'esercizio del diritto di difesa.

2. – La questione sollevata in riferimento all'art. 3 della Costituzione è fondata.

2.1. – L'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35, comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80, ha sostituito, a decorrere dal 1° marzo 2006, l'art. 4 della legge 1° dicembre 1970, n. 898 già riportato, fissando, tra l'altro, nuove regole per la individuazione del giudice territorialmente competente in ordine ai procedimenti concernenti lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio.

Il richiamato art 4, primo comma, della legge n. 898 del 1970, nella sua formulazione originaria, individuava, quale foro dei procedimenti di cui si tratta, il tribunale del luogo in cui il convenuto aveva la residenza, oppure, nel caso di irreperibilità o di residenza all'estero, quello del luogo di residenza del ricorrente. L'art. 8 della legge 6 marzo 1987, n. 74 (Nuove norme sulla disciplina dei casi di scioglimento di matrimonio), nel sostituire l'intero art. 4 della legge n. 898 del 1970, aveva, poi, introdotto, quale criterio alternativo alla residenza quello del domicilio (del convenuto, come del ricorrente), contemplando, altresì, l'ipotesi di residenza all'estero di entrambi i coniugi e prevedendo, in tal caso, che la domanda per ottenere lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio potesse essere proposta innanzi a qualunque tribunale della Repubblica.

La novella del 2005 ha introdotto un diverso criterio, fissando quale foro competente il «tribunale del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi, ovvero, in mancanza, del luogo in cui il coniuge convenuto ha residenza o domicilio», e mantenendo, per il resto, gli altri criteri di competenza individuati dal richiamato art. 8 della legge n. 74 del 1987.

I criteri di individuazione di tale competenza per territorio sono inderogabili e successivi, nel senso che non è consentito al ricorrente fare riferimento ad uno di essi se non nell'ipotesi in cui il precedente non ricorra.

Pertanto, perché il ricorrente possa proporre la domanda innanzi al tribunale del luogo in cui il convenuto abbia residenza o domicilio, non è sufficiente che la residenza comune dei coniugi sia venuta meno, ma è necessario che essa non sia mai esistita, non potendosi interpretare l'espressione «in mancanza» come equivalente a quella «qualora sia successivamente venuta meno», sia perché vi osta il dato letterale, che allude, inequivocabilmente, ad una situazione mai realizzatasi, sia perché è pacifico, in dottrina e in giurisprudenza, che i coniugi possano anche non avere mai avuto una residenza comune – e questa è la fattispecie ipotizzata dal legislatore – dal momento che l'art. 144, primo comma, del codice civile, nel prevedere l'obbligo della fissazione della residenza della famiglia, non esclude che, in concreto, i coniugi, per motivi legittimi, possano non procedere a tale fissazione.

Da quanto precede deriva che, qualora i coniugi abbiano avuto, per il passato, una residenza comune, occorre fare capo, ai fini della individuazione del giudice competente sulla domanda di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, al tribunale del luogo ove detta residenza si trovava, e ciò anche nella ipotesi – ricorrente nella specie – che, al momento dell'introduzione del giudizio, nessuna delle parti abbia alcun rapporto con quel luogo.

L'individuazione di tale criterio di competenza è manifestamente irragionevole, non sussistendo alcuna valida giustificazione della adozione dello stesso, ove si consideri che, in tema di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, nella maggioranza delle ipotesi, la residenza comune è cessata, quanto meno dal momento in cui i coniugi, in occasione della domanda di separazione – giudiziale o consensuale – sono stati autorizzati a vivere separatamente, con la conseguenza che, tenute presenti le condizioni per proporre la successiva domanda di divorzio, non è ravvisabile alcun collegamento fra i coniugi e il tribunale individuato dalla norma.

Seppure è vero che rientra nella discrezionalità del legislatore la determinazione della competenza territoriale, è però necessario che tale discrezionalità sia esercitata nel rispetto del criterio di ragionevolezza che, nella specie, risulta, per quanto esposto, palesemente violato.

Va, pertanto, dichiarata l'illegittimità costituzionale della norma denunciata limitatamente alle parole «del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza,».

L'accoglimento della questione in riferimento all'art. 3 della Costituzione comporta l'assorbimento della censura di incostituzionalità proposta con riferimento all'art. 24 della Costituzione.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 4, comma 1, della legge 1° dicembre 1970, n. 898 (Disciplina dei casi di scioglimento del matrimonio), nel testo sostituito dall'art. 2, comma 3-bis, del decreto-legge 14 marzo 2005, n. 35 (Disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale) comma inserito dalla relativa legge di conversione 14 maggio 2005, n. 80 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto legge 14 marzo 2005, n. 35, recante disposizioni urgenti nell'ambito del Piano di azione per lo sviluppo economico, sociale e territoriale. Deleghe al Governo per la modifica del codice di procedura civile in materia di processo di cassazione e di arbitrato nonché per la riforma organica della disciplina delle procedure concorsuali), limitatamente alle parole «del luogo dell'ultima residenza comune dei coniugi ovvero, in mancanza,».

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 19 maggio 2008.

F.to:

Franco BILE, Presidente

Alfio FINOCCHIARO, Redattore

Giuseppe DI PAOLA, Cancelliere

Depositata in Cancelleria il 23 maggio 2008.

Il Direttore della Cancelleria

F.to: DI PAOLA

Molestie e animali nel giardino

Cassazione penale , sez. III, sentenza 13.05.2008 n° 19206

“Anche se la prevenuta non ha contestato l'astratta configurabilità del reato, è opportuno ribadire il principio già in passato affermato da questa corte (Cass Sez. 1, 15 novembre 1993 n. 10336), in forza del quale le emissioni di gas, vapori o fumo idonei ad imbrattare o cagionare molestie alle persone non sono solo quelli provenienti da attività produttive nei casi non consentiti dalla legge, ma anche tutte quelle esalazioni maleodoranti comunque imputabili all'attività umana, quali ad esempio quelle provenienti dalla presenza nel proprio giardino di numerosi animali senza l'adozione di cautele idonee ad evitare disturbo o molestie ai vicini. Precisato ciò, si rileva che il ricorso è inammissibile perchè sotto l'apparente deduzione del vizio d'illogicità della motivazione in realtà il ricorrente censura l'apprezzamento delle prove da parte del tribunale la cui motivazione non presenta alcun vizio logico o giuridico.”

“In tema di emissioni idonee a creare molestie alle persone, laddove trattandosi di odori manchi la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni dei testi, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti, soprattutto se si tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo della USL. (cfr Cass. 99/215147; Cass. 98/210959).”

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 13 maggio 2008, n. 19206

Svolgimento del processo

Con sentenza del 24 ottobre del 2006, il tribunale di Messina condannava C.F. alla pena di Euro 105,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali ed al risarcimento del danno nei confronti della costituita parte civile, quale responsabile del reato di cui all'art. 674 c.p. per avere, mediante la detenzione nel proprio giardino di trenta gatti e quattro cani, provocato emissioni di gas nauseabondi, provenienti da escrementi ed urine degli animali, atti a creare molestie ai vicini. Fatto commesso in ****.

Il tribunale osservava che le dichiarazioni dei confinanti, costituitisi parti civili, erano state confermate dalle testimonianze degli agenti di polizia, i quali avevano affermato e constatato che nell'abitazione delle parti offese si sentiva un "odore nauseabondo provenire dalle aiuole poste a confine con il giardino ****", probabilmente perchè gli animali facevano lì i loro bisogni.

Ricorre per cassazione l'imputata per mezzo del proprio difensore denunciando illogicità della motivazione per avere il tribunale fondato l'affermazione di responsabilità sulla sola deposizione delle persone offese, senza considerare gli altri elementi processuali.

Motivi della decisione

Anche se la prevenuta non ha contestato l'astratta configurabilità del reato, è opportuno ribadire il principio già in passato affermato da questa corte (Cass Sez. 1, 15 novembre 1993 n. 10336), in forza del quale le emissioni di gas, vapori o fumo idonei ad imbrattare o cagionare molestie alle persone non sono solo quelli provenienti da attività produttive nei casi non consentiti dalla legge, ma anche tutte quelle esalazioni maleodoranti comunque imputabili all'attività umana, quali ad esempio quelle provenienti dalla presenza nel proprio giardino di numerosi animali senza l'adozione di cautele idonee ad evitare disturbo o molestie ai vicini. Precisato ciò, si rileva che il ricorso è inammissibile perchè sotto l'apparente deduzione del vizio d'illogicità della motivazione in realtà il ricorrente censura l'apprezzamento delle prove da parte del tribunale la cui motivazione non presenta alcun vizio logico o giuridico.

Invero, il tribunale ha dato atto che gli animali dal punto di vista sanitario erano tenuti bene, ma ciò non escludeva che, per il loro rilevante numero, dal luogo dove erano custoditi potessero, specialmente nei mesi estivi, propagarsi odori nauseabondi, idonei a creare molestia alle persone che abitavano nella zona.

Non è vero che il tribunale di Messina ha fondato l'affermazione di responsabilità sulle sole dichiarazioni delle persone offese, in quanto dalla sentenza impugnata risulta che l'assunto dei denuncianti era stato confermato anche dalla polizia municipale che aveva effettuato un sopralluogo, rilevando che dal giardino della prevenuta provenivano odori nauseabondi. In tema di emissioni idonee a creare molestie alle persone, laddove trattandosi di odori manchi la possibilità di accertare obiettivamente, con adeguati strumenti, l'intensità delle emissioni, il giudizio sull'esistenza e sulla non tollerabilità delle emissioni stesse ben può basarsi sulle dichiarazioni dei testi, quando tali dichiarazioni non si risolvano nell'espressione di valutazioni meramente soggettive o in giudizi di natura tecnica, ma si limitino a riferire quanto oggettivamente percepito dagli stessi dichiaranti, soprattutto se si tratta di persone a diretta conoscenza dei fatti, come i vicini, o particolarmente qualificate, come gli agenti di polizia e gli organi di controllo della USL. (cfr Cass. 99/215147; Cass. 98/210959).

Dall'inammissibilità del ricorso discende l'obbligo di pagare le spese processuali e di versare una somma, che stimasi equo determinare in Euro 1000,00, in favore della Cassa delle Ammende, non sussistendo alcuna ipotesi di carenza di colpa del ricorrente nella determinazione della causa d'inammissibilità secondo l'orientamento espresso dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 186 del 2000.

La ricorrente è tenuta altresì alla rifusione delle spese sostenute in questo grado dalla parte civile, liquidate come nel dispositivo che segue.

P.Q.M.

LA CORTE Letto l'art. 616 c.p.p. dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al versamento della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonchè alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile, liquidate in complessi Euro 2.500,00 oltre IVA ed accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 27 marzo 2008.

Depositato in Cancelleria il 13 maggio 2008.

martedì 13 maggio 2008

L’AVVOCATO E’ SOGGETTO ALL’IRAP?

OCCORRE VALUTARE CASO PER CASO SE SUSSISTA IL QUID PLURIS CHE ASSOGGETTA ALL'IMPOSTA.

La sezione tributaria della Corte di Cassazione, indicando la giornata del 8.2.2007 come dies irap, ha trattato un numero rilevante di controversie di diverse tipologie di contenziosi pendenti, coinvolgendo, tutti i collegi giudicanti della sezione che, nelle varie sentenze, hanno formulato, ai sensi dell’art. 384, comma 1, cpc, il seguente principio di diritto:

il rimborso dell'Irap non spetta agli esercenti arti o professioni, indicati dall'art. 49, comma 1, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (richiamato dall'art. 3, comma 1, lettera c), D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446), responsabili in qualsiasi forma dell'organizzazione - esclusi gli esercenti arti o professioni inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, originariamente esenti dall'imposta - quando essi si avvalgano, in modo non occasionale, di lavoro altrui, o impieghino nell'organizzazione beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l'esercizio dell'attività: eccedenza di cui è indice, fra l'altro, l'avvenuta deduzione del costo ai fini dell'Irpef o dell'Iva. Il contribuente che agisce per il rimborso dell'Irap, sostenendo di averla versata indebitamente, ha l'onere di provare l'assenza delle suddette condizioni.”

In particolare:

Irap, attività d'avvocato-“L’imposta non è dovuta dal professionista privo di dipendenti, utilizzante una porzione, della propria abitazione come studio professionale, non avvalendosi di collaboratori esterni per mansioni professionali ed esecutive, possedente beni strumentali di struttura semplice di uso comune e strettamente necessarie all'esercizio personale della professione” Cassazione civile, V sez. 16.2. 2007 n. 3678”

Non è soggetta all'imposta solo l'attività di lavoro autonomo - di cui all'art. 49, comma 1 e all'art. 53, comma 1 del D.P.R. n. 917/1986 nella loro versione ante e post riforma - che non sia autonomamente organizzata.” Cassazione civile, Sentenza, Sez. trib., 19/03/2007, n. 6503

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Lo stato dell’arte, oggi.


La bagarre sulla tanto odiata irap a carico degli autonomi sorge a seguito della sentenza n. 156 del 21 maggio 2001 della Corte Costituzionale, la quale, pronunciandosi sulle questioni di legittimità costituzionale del d.lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, aveva stabilito la legittimità dell’IRAP, definendola come imposta di carattere reale che colpisce il valore aggiunto prodotto dalle attività autonomamente organizzate sia di carattere imprenditoriale o professionale e riconoscendo in tale valore aggiunto, direttamente connesso all'elemento organizzativo, un idoneo indice di capacità contributiva. Con prudenza, dunque, la Corte Costituzionale non aveva fornito esplicite indicazioni circa il significato di “autonoma organizzazione”, limitandosi ad affermare che si tratta di questione di fatto, rimessa dunque al giudice di merito e sotto il limitato controllo del giudice di legittimità, ai sensi dell’art. 360, n. 5) cpc.

Pertanto, insorgeva un notevole contenzioso a seguito delle istanze di rimborso presentate dai contribuenti, con precisi interventi dei Giudici di merito, oscillanti tra due posizioni antitetiche. Il primo orientamento, indicato dalla Cassazione “massimalista” ha sostenuto che l’Irap è sempre dovuta dal lavoratore autonomo (salvo nelle ipotesi espressamente escluse dal legislatore). Il secondo, individuato come “minimalista”, considera che il prelievo Irap è illegittimo per i professionisti esercenti una professione “protetta” che esige l’iscrizione all'albo e non può mai spersonalizzarsi, impedendo che la predisposta struttura di risorse umane e materiali sia in grado di funzionare indipendentemente ed autonomamente dal suo intervento.
Nel mezzo, si affermava la linea , pragmaticamente orientata, nell’individuare, caso per caso, la presenza o meno di autonoma organizzazione, dando rilevanza alla tipologia ed alla consistenza dei costi esposti in dichiarazione dei redditi (quadro RE del mod. Unico), in conformità con la decisione della sezione tributaria della Cassazione (sentenza n. 21203.


A questo punto la suprema corte di Cassazione attendeva l’esito del procedimento C475/03, pendente presso la Corte di Giustizia delle Comunità Europee per la presunta incompatibilità dell’Irap con l’art. 33 della VI direttiva Iva, giunto con sentenza 3 ottobre 2006 del giudice comunitario che affermava la legittimità dell’imposta.

Dies Irap: Cassazione, V sez., 16 febbraio 2007, sentenze nn. 3672 - 3673- 3677 – 3678 – 3679 - 3682

Sicchè, la sezione tributaria della Corte di Cassazione trattava in un’unica giornata – oramai nota come “dies irap” – un numero rilevante di controversie di diverse tipologie di contenziosi pendenti, coinvolgendo, i collegi giudicanti della sezione che, nelle varie sentenze, hanno formulato, ai sensi dell’art. 384, comma 1, cpc, il seguente principio di diritto:

il rimborso dell'Irap non spetta agli esercenti arti o professioni, indicati dall'art. 49, comma 1, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917 (richiamato dall'art. 3, comma 1, lettera c), D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446), responsabili in qualsiasi forma dell'organizzazione - esclusi gli esercenti arti o professioni inseriti in strutture organizzative riferibili ad altrui responsabilità ed interesse, originariamente esenti dall'imposta - quando essi si avvalgano, in modo non occasionale, di lavoro altrui, o impieghino nell'organizzazione beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l'esercizio dell'attività: eccedenza di cui è indice, fra l'altro, l'avvenuta deduzione del costo ai fini dell'Irpef o dell'Iva. Il contribuente che agisce per il rimborso dell'Irap, sostenendo di averla versata indebitamente, ha l'onere di provare l'assenza delle suddette condizioni.”

In definitiva, l’orientamento della Cassazione si può oggi sintetizzare nel senso che il prelievo Irap è inapplicabile solo nei confronti dei contribuenti esercenti la professione che usano beni strumentali modesti senza costi da lavoro dipendente o da collaborazione di terzi, cioè senza avvalersi di una organizzazione di rilevanza extra individuale.

Ulteriore annotazione significativa, concerne una questione collegata, ma assai importante nella pratica, e relativa alla decisione secondo cui il rimborso al contribuente avente titolo non spetta nei periodi oggetto di eventuale condono ex legge 289/2002

Massime delle sentenze più significative, già pubblicate

Cass, V sez, 16.2.2007 n. 3672
IRAP - svolgimento dell'attività professionale di commercialista privo di dipendenti, con attrezzature consistenti nei mobili di ufficio, telefono, automezzo, personal computer e, quindi, ha dimostrato di esercitare la propria attività con impiego di mezzi-beni strumentali di portata definibili come minime e senza dipendenti. L'elemento organizzativo è pressoché inconsistente – l’imposta non è dovuta.

Cass, V sez, 16.2.2007 n. 3673

Attività di promotore finanziario – è erronea l’affermazione secondo cui l’Irap sarebbe dovuta sol quando l'apporto personale del titolare dell'organizzazione risulti da questa eclissato. Il rimborso dell’imposta non spetta agli esercenti arti o professioni, quando essi si avvalgano, in modo non occasionale, di lavoro altrui, o impieghino nell'organizzazione beni strumentali eccedenti, per quantità o valore, il minimo comunemente ritenuto indispensabile per l'esercizio dell'attività.

Cass, V sez, 16.2.2007 n. 3677

IRAP – ragioniere commercialista – attività svolta con beni strumentali di modesta portata – non esiste l’autonoma organizzazione, l’imposta non è dovuta

Cass, V sez, 16.2.2007 n. 3679

IRAP – non è dovuta dal contribuente che, nell'esercizio della propria attività (nella specie, quella di autore e scrittore), conta solamente sull'opera del suo ingegno

Cass, V sez, 16.2.2007 n. 3682

IRAP – Il condono tombale (art. 9, legge n. 289/2002), preclude al contribuente ogni possibilità di rimborso dell'IRAP per le annualità d'imposta definite mediante l'agevolazione.

mercoledì 7 maggio 2008

Redditi on line, illegittimità del provvedimento dell'Agenzia delle Entrate


COMUNICATO STAMPA 6 maggio 2008
GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI,

Redditi on line: illegittima la diffusione dei dati sul sito Internet dell'Agenzia delle entrate

L'Autorità Garante per la privacy ha concluso l'istruttoria avviata sulla diffusione, tramite il sito web dell'Agenzia delle entrate, dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti italiani. Il Collegio (composto da Francesco Pizzetti, Giuseppe Chiaravalloti, Mauro Paissan, Giuseppe Fortunato), nel ribadire quanto già sostenuto nel provvedimento con il quale aveva immediatamente invitato a sospendere la pubblicazione on line, ha stabilito che la modalità utilizzata dall'Agenzia è illegittima.

L'Agenzia delle entrate dovrà quindi far cessare definitivamente l'indiscriminata consultabilità, tramite il sito, dei dati relativi alle dichiarazioni dei redditi per l'anno 2005.

La decisione dell'Agenzia contrasta con la normativa in materia. In primo luogo, perché il Dpr n.600/1973 stabilisce che al direttore dell'Agenzia delle entrate spetta solo il compito di fissare annualmente le modalità di formazione degli elenchi delle dichiarazioni dei redditi, non le modalità della loro pubblicazione, che rimangono prerogativa del legislatore. Attualmente, per le dichiarazioni ai fini dell'imposta sui redditi, la legge prevede unicamente la distribuzione degli elenchi ai soli uffici territoriali dell'Agenzia e la loro trasmissione ai soli comuni interessati e sempre con riferimento ai contribuenti residenti nei singoli ambiti territoriali.

L'inserimento dei dati in Internet, inoltre, appare di per sé non proporzionato rispetto alla finalità della conoscibilità di questi dati.

L'uso di uno strumento come Internet rende indispensabili rigorose garanzie a tutela dei cittadini. L'immissione in rete generalizzata e non protetta dei dati di tutti i contribuenti italiani (non sono stati previsti "filtri" per la consultazione on line) da parte dell'Agenzia delle entrate ha comportato una serie di conseguenze: la centralizzazione della consultazione a livello nazionale ha consentito, in poche ore, a numerosissimi utenti, non solo in Italia ma in ogni parte del mondo, di accedere a innumerevoli dati, di estrarne copia, di formare archivi, modificare ed elaborare i dati stessi, di creare liste di profilazione e immettere ulteriormente dati in circolazione, ponendo a rischio la loro stessa esattezza. Tale modalità ha, inoltre, dilatato senza limiti il periodo di conoscibilità di dati che la legge stabilisce invece in un anno.

L'Autorità ha poi rilevato che non è stato chiesto al Garante il parere preventivo prescritto per legge.

L'Autorità ha altresì specificato che va ritenuta illecita anche l'eventuale ulteriore diffusione dei dati dei contribuenti da parte di chiunque li abbia acquisiti, anche indirettamente, dal sito Internet dell'Agenzia. Tale ulteriore diffusione può esporre a conseguenze di carattere civile e penale.

Resta fermo il diritto-dovere dei mezzi di informazione di rendere noti i dati delle posizioni di persone che, per il ruolo svolto, sono o possono essere di sicuro interesse pubblico, purché tali dati vengano estratti secondo le modalità attualmente previste dalla legge.

L'Autorità sottolinea, sin d'ora, che, qualora il Parlamento e il Governo intendessero porre mano ad una revisione della normativa alla luce del mutato scenario tecnologico, si porrà l'esigenza di individuare, sentita l'Autorità, soluzioni che consentano un giusto equilibrio tra forme proporzionate di conoscenza dei dati dei contribuenti e la tutela dei diritti degli interessati.

Il Garante ha stabilito, infine, di contestare all'Agenzia, con separato provvedimento, l'assenza di un'idonea informativa ai contribuenti riguardo alla forma adottata per la diffusione dei loro dati, anche al fine di determinare la relativa sanzione amministrativa.

Per dare la massima conoscibilità al provvedimento e anche per consentire a tutti di avere maggiore consapevolezza che la ulteriore messa in circolazione dei dati è un fatto illecito che può avere anche rilevanza penale, l'Autorità ha disposto la pubblicazione del provvedimento sulla Gazzetta Ufficiale.

Roma, 6 maggio 2008

giovedì 1 maggio 2008

Redditi on line, intervento urgente del Garante della Privacy

Pubblicazione Internet degli elenchi dei contribuenti da parte dell'Agenzia delle entrate: stop agli elenchi dei contribuenti in Internet
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Comunicato stampa

Nella riunione odierna il Garante privacy ha svolto una prima valutazione sulla diffusione in Internet dei dati delle dichiarazioni dei redditi dei contribuenti a cura dell'Agenzia delle entrate.

L'Autorità, anche richiamando le sue diverse pronunce in materia, rileva che per tale forma di diffusione sussistono allo stato evidenti e rilevanti problemi di conformità con il quadro normativo in materia.

Il Garante ha quindi deciso di chiedere formalmente e con urgenza ulteriori delucidazioni all'Agenzia e l'ha invitata a sospendere nel frattempo la diffusione dei dati in Internet.

L'Autorità ha invitato, altresì, i mezzi di informazione a non divulgare i dati estratti dagli elenchi resi disponibili in Internet dall'Agenzia con le predette modalità.

Roma, 30 aprile 2008

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Bollettino n. 94 del 30.4.2008

IL GARANTE PER LA PROTEZIONE DEI DATI PERSONALI

Nella riunione odierna, in presenza del prof. Francesco Pizzetti, presidente, del dott. Giuseppe Chiaravalloti, vicepresidente, del dott. Mauro Paissan e del dott. Giuseppe Fortunato, componenti e del dott. Giovanni Buttarelli, segretario generale;

VISTO il Codice in materia di protezione dei dati personali (d.lg. 30 giugno 2003, n. 196);

VISTO l'art. 69 del d.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, come modificato dall'art. 19 della legge 30 dicembre 1991, n. 413, che disciplina la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti;

VISTO che il predetto art. 69, comma 6, prevede, ai fini della consultazione dei predetti elenchi, il loro deposito, per la durata di un anno, sia presso l'ufficio dell'amministrazione finanziaria, sia presso i comuni interessati;

RILEVATO che il provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate del 5 marzo 2008, che individua le modalità e i termini di formazione degli elenchi relativi all'anno di imposta 2005, ha disposto una diversa modalità di pubblicazione di tali elenchi in un'apposita sezione del sito internet http://www.agenziaentrate.gov.it;

RILEVATO altresì che tali elenchi, suddivisi in relazione agli uffici dell'Agenzia delle entrate territorialmente competenti, sono liberamente consultabili anche con la possibilità di salvarne una copia con funzioni di trasferimento file;

CONSIDERATO che il citato art. 69, come già rilevato più volte da questa Autorità, costituisce, ai sensi dell'art. 19, comma 3, del Codice, la base giuridica per pubblicare elenchi dei contribuenti, recando "una precisa scelta normativa di consultabilità da parte di chiunque di determinate fonti" "operata per favorire una trasparenza in materia di dati raccolti dalla pubblica amministrazione attraverso le dichiarazioni fiscali" (v. Provv. 17 gennaio 2001, doc. web n. 41031, Provv. 2 luglio 2003, doc. web. n. 1081728, nonché Provv. 18 ottobre 2007, doc. web. n. 1454901);

RILEVATO che, "come è desumibile dai numerosi pronunciamenti di questa Autorità in materia di trasparenza, non vi è incompatibilità tra la protezione dei dati personali e determinate forme di pubblicità di dati previste per finalità di interesse pubblico o della collettività" (v., in particolare, Provv. del 2 luglio 2003, cit.);

CONSIDERATO tuttavia che il legislatore ha demandato all'Amministrazione finanziaria esclusivamente il compito di formare annualmente gli elenchi dei contribuenti e che il regime di pubblicità è invece direttamente prescritto per legge (art. 69, comma 6, cit.);

RILEVATO che, all'esito di una preliminare verifica effettuata da questa Autorità, la pubblicazione dei predetti elenchi attraverso il sito web http://www.agenziaentrate.gov.it risulta allo stato non conforme alla normativa di settore;

CONSIDERATO che il Garante, ai sensi degli artt. 143, comma 1, lett. c) e 154, comma 1, lett. a) e d) del Codice, può, anche d'ufficio, disporre il blocco e adottare altri provvedimenti previsti dalla disciplina applicabile al trattamento dei dati personali;

RILEVATA la necessità di chiedere ulteriori chiarimenti e di invitare in via d'urgenza l'Agenzia a sospendere nel frattempo la pubblicazione dei dati personali contenuti negli elenchi dei contribuenti sopra menzionati tramite il sito web http://www.agenziaentrate.gov.it, nelle more della definizione degli ulteriori accertamenti da parte di questa Autorità;

RISERVATA la formulazione in altra sede di un invito ai mezzi di informazione a non divulgare i dati estratti dagli elenchi resi disponibili in Internet dall'Agenzia con le predette modalità;

VISTA la documentazione in atti;

VISTE le osservazioni dell'Ufficio, formulate dal segretario generale ai sensi dell'art. 15 del regolamento del Garante n. 1/2000 del 28 giugno 2000;

Relatore il prof. Francesco Pizzetti;

TUTTO CIÒ PREMESSO IL GARANTE

ai sensi dell'art. 154, comma 1, lett. d), del Codice, chiede ulteriori chiarimenti e invita l'Agenzia delle entrate a sospendere nel frattempo la pubblicazione degli elenchi dei contribuenti tramite il sito web http://www.agenziaentrate.gov.it.

Roma, 30 aprile 2008

IL PRESIDENTE
Pizzetti

IL RELATORE

Pizzetti

IL SEGRETARIO GENERALE
Buttarelli

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