mercoledì 30 aprile 2008

Assicurazione auto, regole per la variazione della classe di merito in peius

Isvap, provvedimento 08.02.2008 n° 2590 , G.U. 22.02.2008


1) Per responsabilita' principale deve intendersi, nel caso in cui il sinistro coinvolga due veicoli, la responsabilita' prevalente attribuita ad uno dei conducenti dei veicoli stessi.

2) Per i sinistri con piu' di due veicoli coinvolti, l'ipotesi di responsabilita' principale ricorre per il conducente al quale sia attribuito un grado di responsabilita' superiore a quello attribuito agli altri conducenti.

3) Qualora la responsabilita' sia da attribuirsi in pari misura a carico dei conducenti dei veicoli coinvolti, nessuno dei contratti relativi ai veicoli medesimi subira' l'applicazione del malus; tuttavia la corresponsabilita' paritaria dara' luogo ad annotazione del grado di responsabilita' nell'attestato di rischio ai fini del peggioramento della classe di merito in caso di successivi sinistri in cui vi sia la responsabilita' del conducente del veicolo assicurato. Ai fini dell'eventuale variazione di classe a seguito di piu' sinistri, la percentuale di responsabilita' cumulata" che puo' dar luogo all'applicazione del malus deve essere pari ad almeno il 51%. Ai medesimi fini viene considerato un periodo temporale coincidente con l'ultimo quinquennio di osservazione della sinistralita'.

E' questa una delle novità previste dal provvedimento 8 febbraio 2008, n. 2590 (pubblicato in Gazzetta ufficiale 22 febbraio 2008, n. 45) con il quale L'isvap ha modificato il Regolamento 9 agosto 20, n. 4 in materia di attestazione sullo stato del rischio dei contratti R.C. auto.


ISTITUTO PER LA VIGILANZA SULLE ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO, PROVVEDIMENTO 8 febbraio 2008, n. 2590

Modifiche ed integrazioni al regolamento n. 4 del 9 agosto 2006 concernente gli obblighi informativi a carico delle imprese in occasione di ciascuna scadenza annuale dei contratti r.c. auto di cui all'art. 191, comma 1, lettera b), nonche' la disciplina relativa all'attestazione sullo stato del rischio di cui all'art. 134 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 - Codice delle assicurazioni private.

(GU n. 45 del 22-2-2008)

L'ISTITUTO PER LA VIGILANZA SULLE ASSICURAZIONI PRIVATE E DI INTERESSE COLLETTIVO

Vista la legge 12 agosto 1982, n. 576 e successive modificazioni ed integrazioni, concernente la riforma della vigilanza sulle assicurazioni;

Visto il decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209 e successive modificazioni ed integrazioni, recante il Codice delle Assicurazioni Private;

Vista la legge 2 aprile 2007, n. 40 di conversione del decreto-legge 31 gennaio 2007, n. 7;

Ritenuta la necessita' di modificare il Regolamento n. 4 del 9 agosto 2006 alla luce delle nuove disposizioni in materia di assicurazione della responsabilita' civile auto di cui alla legge 2 aprile 2007, n. 40;

Adotta

il seguente provvedimento:

Art. 1.

Modifiche al Regolamento ISVAP n. 4 del 9 agosto 2006

1. All'art. 4, comma 1, sono aggiunte alla fine le seguenti parole:

In caso di richiesta ai sensi dell'art. 134, comma 1-bis, del decreto le imprese trasmettono al contraente, entro quindici giorni dalla richiesta, l'attestazione sullo stato del rischio relativa agli ultimi cinque anni del contratto di assicurazione".

2. Il comma 4 dell'art. 4 e' abrogato.

3. All'art. 6 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) al comma 1, lettera h), le parole denunciati con seguito e con distinta indicazione del numero dei sinistri che hanno dato luogo a pagamenti, del numero dei sinistri posti a riserva con soli danni alle cose e del numero dei sinistri posti a riserva con danni alle persone" sono sostituite dalle seguenti: «pagati, anche a titolo parziale, con distinta indicazione del numero dei sinistri con responsabilita' principale e del numero dei sinistri per i quali non sia stata accertata la responsabilita' principale che presentano, in relazione al numero dei conducenti coinvolti, una quota di responsabilita' non principale a carico dell'assicurato, con indicazione della relativa percentuale»;

b) dopo il comma 1 sono inseriti i seguenti commi:

«2. Ai sensi del comma 1, lettera h), per responsabilita' principale deve intendersi, nel caso in cui il sinistro coinvolga due veicoli, la responsabilita' prevalente attribuita ad uno dei conducenti dei veicoli stessi. Per i sinistri con piu' di due veicoli coinvolti, l'ipotesi di responsabilita' principale ricorre per il conducente al quale sia attribuito un grado di responsabilita' superiore a quello attribuito agli altri conducenti. Qualora la responsabilita' sia da attribuirsi in pari misura a carico dei conducenti dei veicoli coinvolti, nessuno dei contratti relativi ai veicoli medesimi subira' l'applicazione del malus; tuttavia la corresponsabilita' paritaria dara' luogo ad annotazione del grado di responsabilita' nell'attestato di rischio ai fini del peggioramento della classe di merito in caso di successivi sinistri in cui vi sia la responsabilita' del conducente del veicolo assicurato. Ai fini dell'eventuale variazione di classe a seguito di piu' sinistri, la percentuale di responsabilita' cumulata" che puo' dar luogo all'applicazione del malus deve essere pari ad almeno il 51%. Ai medesimi fini viene considerato un periodo temporale coincidente con l'ultimo quinquennio di osservazione della sinistralita'.

3. Nel caso di pagamento a titolo parziale, con conseguente applicazione della penalizzazione, i successivi pagamenti, riferiti allo stesso sinistro, non determinano l'applicazione delle penalizzazioni contrattuali.

4. Nel caso di stipula del contratto ai sensi e per gli effetti di cui all'art. 134, comma 4-bis, del decreto, presso la stessa o diversa impresa di assicurazione, l'attestato dovra' contenerne indicazione. Tale indicazione deve essere mantenuta anche negli attestati successivi al primo".».

4. All'art. 8 sono apportate le seguenti modificazioni:

a) il comma 2 e' sostituito dal seguente: «2. In caso di documentata cessazione del rischio assicurato o in caso di sospensione o di mancato rinnovo del contratto di assicurazione per mancato utilizzo del veicolo, risultante da apposita dichiarazione del contraente, l'ultimo attestato di rischio conseguito conserva validita' per un periodo di cinque anni a decorrere dalla scadenza del contratto al quale tale attestato si riferisce.».

b) il comma 4 e' abrogato;

c) al comma 5, primo periodo, le parole: Nel caso di acquisto di un veicolo di nuova proprieta' da parte di un soggetto che possa documentare la vendita, la consegna in conto vendita, il furto, la demolizione, la cessazione definitiva della circolazione o la definitiva esportazione all'estero di un veicolo precedentemente assicurato" sono sostituite dalle seguenti: In caso di documentata vendita, consegna in conto vendita, furto, demolizione, cessazione definitiva della circolazione o definitiva esportazione all'estero di un veicolo di proprieta' precedentemente assicurato, qualora il contraente chieda che il contratto sia reso valido per altro veicolo di sua proprieta'".

Art. 2.

Modifiche all'allegato n. 1

1. All'Allegato 1 al Regolamento ISVAP n. 4 del 9 agosto 2006, parte 2. Informazioni sulla disdetta contrattuale", le parole entro 15 giorni dalla scadenza del contratto" sono sostituite dalle seguenti: almeno 15 giorni prima della data di scadenza indicata nella polizza." Art. 3.

Modifiche all'allegato n. 2 1. All'Allegato 2 al Regolamento ISVAP n. 4 del 9 agosto 2006, sono apportate le seguenti modificazioni:

a) alla parte «Criteri di individuazione della classe di merito di conversione universale», punto 1., lettera a), le parole: «di alcun tipo (pagati, riservati con danni a persona, riservati con danni a cose)» sono sostituite dalle seguenti: «pagati, anche a titolo parziale, con responsabilita' principale;

b) alla parte «Criteri di individuazione della classe di merito di conversione universale», punto 1, lettera b), le parole: «pagati o riservati con danni a persone sono sostituite dalle seguenti:

«pagati, anche a titolo parziale, con responsabilita' principale»;

c) alla parte «disciplina della classe di merito di conversione universale - Regole specifiche», lettera h), le parole: «su un veicolo di nuova acquisizione» sono sostituite dalle seguenti: «su altro veicolo di proprieta' dello stesso soggetto»;

d) alla parte «Disciplina della classe di merito di conversione universale - Regole specifiche", lettera, lettera i), le parole: «Nel caso di acquisto di un veicolo da parte dello stesso proprietario» sono sostituite dalle seguenti: Nel caso del proprietario di un veicolo»;

e) alla parte «Disciplina della classe di merito di conversione universale - Regole specifiche», lettera i), le parole: «di nuova proprieta» sono soppresse.

Art. 4.

Pubblicazione

1. Il presente provvedimento e' pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, nel Bollettino e sul sito Internet dell'ISVAP.

Art. 5.

Entrata in vigore

1. Il presente provvedimento entra in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana, fatta eccezione per le disposizioni di cui all'art. 1, commi 2 e 3, all'art. 2, comma 1, ed all'art. 3, comma 1, che entrano in vigore il 31 luglio 2008.

Roma, 8 febbraio 2008

Il Presidente: Giannini

mercoledì 23 aprile 2008

Amministratore del Condominio, natura giuridica delle obbligazioni assunte


Cassazione civile , SS.UU., sentenza 08.04.2008 n° 9148


" ...:ritenuto che la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; che in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l'art. 1123 cit., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà. Ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie.

Il contratto, stipulato dall'amministratore rappresentante, in nome e nell'interesse dei condomini rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno."



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 8 aprile 2008, n. 9148

(Pres. Carbone - est. Corona)

Motivi della decisione

La società ricorrente lamenta:

1.1 con il primo motivo, violazione e falsa applicazione degli artt. 1115 e 1139 cod. civ., in relazione all'art. 360 n. 3, cod. proc. civ. La giurisprudenza dominante, anche successivamente all'isolata sentenza n. 8530 del 1996, che aveva affermato la parziarietà, ha sempre sostenuto e continua a sostenere la natura solidale delle obbligazioni dei condomini;

1.2 con il secondo motivo, falsa applicazione degli artt. 1004 e 1005 cod. civ., ai senso dell'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., posto che la ripartizione delle spese fra nudo proprietario usufruttuario operano nei rapporti interni e non sono opponibili al terzo creditore;

1.3 con il terzo motivo, violazione dell'art. 112 cod. proc. civ., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., poiché la sentenza di primo grado aveva posto a fondamento della decisione ragioni diverse da quelle dedotte nell'opposizione al decreto ingiuntivo;

1.4 con il quarto motivo, omessa compensazione delle spese processuali con riferimento ad A. R.;

Con il quinto motivo, violazione dell'art. 91 cod. proc. civ., ai sensi degli artt. 360 nn. 3 e 5 cod. proc. civ., non sussistendo soccombenza nei confronti del Condominio, che era stato chiamato in giudizio da A. R.;

Con il sesto motivo, violazione dell'art. 63 disp. att., in relazione all'art. 360 n. 3 cod. proc. civ., non aveva tenuto conto dell'orientamento della Suprema Corte, secondo cui l'acquirente di una unità immobiliare doveva essere tenuto alle spese solidalmente al suo dante causa.

2.1 La questione di diritto, che la Suprema Corte deve risolvere per decidere la controversia, riguarda la natura delle obbligazioni dei condomini.

Secondo l'orientamento maggioritario della giurisprudenza, la responsabilità dei singoli partecipanti per le obbligazioni assunte dal "condominio" verso i terzi ha natura solidale, avuto riguardo al principio generale stabilito dall'art. 1294 cod. civ. per l'ipotesi in cui più soggetti siano obbligati per la medesima prestazione: principio non derogato dall'art. 1123 cod. civ., che si limita a ripartire gli oneri all'interno del condominio (Cass., Sez. II, 5 aprile 1982, n. 2085; Cass., Sez. II, 17 aprile 1993, n. 4558; Cass., Sez. II, 30 luglio 2004, n. 14593; Cass., Sez. II, 31 agosto 2005, n. 17563).

Per l'indirizzo decisamente minoritario, la responsabilità dei condomini è retta dal criterio dalla parziarietà: in proporzione alle rispettive quote, ai singoli partecipanti si imputano le obbligazioni assunte nell'interesse del "condominio", relativamente alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ. per le obbligazioni ereditarie, secondo cui al pagamento dei debiti ereditali i coeredi concorrono in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori si ripartisce tra gli eredi in proporzione alle quote ereditarie (Cass., Sez. II, 27 settembre 1996, n. 8530).

2.2 Per determinare i principi di diritto, che regolano le obbligazioni (contrattuali) unitarie le quali vincolano la pluralità di soggetti passivi - i condomini - occorre muovere dal fondamento della solidarietà.

L'assunto è che la solidarietà passiva scaturisca dalla contestuale presenza di diversi requisiti, in difetto dei quali - e di una precisa disposizione di legge - il criterio non si applica, non essendo sufficiente la comunanza del debito tra la pluralità dei debitori e l'identica causa dell'obbligazione; che nessuna specifica disposizione contempli la solidarietà tra i condomini, cui osta la parziarietà intrinseca della prestazione; che la solidarietà non possa ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo, in quanto il condominio non raffigura un "ente di gestione", ma una organizzazione pluralistica e l'amministratore rappresenta immediatamente i singoli partecipanti, nei limiti del mandato conferito secondo le quote di ciascuno.

La disposizione dell'art. 1292 cod. civ. - è noto - si limita a descrivere il fenomeno e le sue conseguenze. Invero, sotto la rubrica "nozione della solidarietà", definisce l'obbligazione in solido quella in cui "più debitori sono obbligati tutti per la medesima prestazione" e aggiunge che ciascuno può essere costretto all'adempimento per la totalità (con liberazione degli altri). L'art. 1294 cod. civ. stabilisce che "i condebitori sono tenuti in solido, se dalla legge o dal titolo non risulta diversamente". Nessuna delle norme, tuttavia, precisa la ratio della solidarietà, ovverosia ne chiarisce il fondamento (che risulta necessario, quanto meno, per risolvere i casi dubbi).

Stando all'interpretazione più accreditata, le obbligazioni solidali, indivisibili e parziarie raffigurano le risposte dell'ordinamento ai problemi derivanti dalla presenza di più debitori (o creditori), dalla unicità della causa dell'obbligazione (eadem causa obbligandi) e dalla unicità della prestazione (eadem res debita).

Mentre dalla pluralità dei debitori e dalla unicità della causa dell'obbligazione scaturiscono questioni che, nella specie, non rilevano, la categoria dell'idem debitum propone problemi tecnici considerevoli: in particolare, la unicità della prestazione che, per natura, è suscettibile di divisione, e la individuazione del vincolo della solidarietà rispetto alla prestazione la quale, nel suo sostrato di fatto, è naturalisticamente parziaria.

Semplificando categorie complesse ed assai elaborate, l'indivisibilità consiste nel modo di essere della prestazione: nel suo elemento oggettivo, specie laddove la insussistenza naturalistica della indivisibilità non è accompagnata dall'obbligo specifico imposto per legge a ciascun debitore di adempiere per l'intero. Quando la prestazione per natura non è indivisibile, la solidarietà dipende dalle norme e dai principi. La solidarietà raffigura un particolare atteggiamento nei rapporti esterni di una obbligazione intrinsecamente parziaria quando la legge privilegia la comunanza della prestazione. Altrimenti, la struttura parziaria dell'obbligazione ha il sopravvento e insorge una pluralità di obbligazioni tra loro connesse.

È pur vero che la solidarietà raffigura un principio riguardante i condebitori in genere. Ma il principio generale è valido laddove, in concreto, sussistono tutti i presupposti previsti dalla legge per la attuazione congiunta del condebito. Sicuramente, quando la prestazione comune a ciascuno dei debitori è, allo stesso tempo, indivisibile. Se invece l'obbligazione è divisibile, salvo che dalla legge (espressamente) sia considerata solidale, il principio della solidarietà (passiva) va contemperato con quello della divisibilità stabilito dall'art. 1314 cod. civ., secondo cui se più sono i debitori ed è la stessa la causa dell'obbligazione, ciascuno dei debitori non è tenuto a pagare il debito che per la sua parte.

Poiché la solidarietà, spesso, viene ad essere la configurazione ex lege, nei rapporti esterni, di una obbligazione intrinsecamente parziaria, in difetto di configurazione normativa dell'obbligazione come solidale e, contemporaneamente, in presenza di una obbligazione comune, ma naturalisticamente, divisibile viene meno uno dei requisiti della solidarietà e la struttura parziaria dell’obbligazione prevale.

Del resto, la solidarietà viene meno ogni qual volta la fonte dell'obbligazione comune è intimamente collegata con la titolarità delle res.

Le disposizioni di cui agli artt. 752, 754 e 1295 cod. civ. - che prevedono la parziarietà delle obbligazioni dei coeredi e la sostituzione, per effetto dell'apertura della successione, di una obbligazione nata unitaria con una pluralità di obbligazioni parziarie - esprimono il criterio di ordine generale del collegamento tra le obbligazioni e le res.

Per la verità, si tratta di obbligazioni immediatamente connesse con l'attribuzione ereditaria dei beni: di obbligazioni ricondotte alla titolarità dei beni ereditari in ragione dell'appartenenza della quota. Ciascun erede risponde soltanto della sua quota, in quanto è titolare di una quota di beni ereditari. Più in generale, laddove si riscontra lo stesso vincolo tra l'obbligazione e la quota e nella struttura dell'obbligazione, originata dalla medesima causa per una pluralità di obbligati, non sussiste il carattere della indivisibilità della prestazione, è ragionevole inferire che rispetto alla solidarietà non contemplata (espressamente) prevalga la struttura parziaria del vincolo.

2.3 Le direttive ermeneutiche esposte valgono per le obbligazioni facenti capo ai gruppi organizzati, ma non personificati.

Per ciò che concerne la struttura delle obbligazioni assunte nel cosiddetto interesse del "condominio" - in realtà, ascritte ai singoli condomini - si riscontrano certamente la pluralità dei debitori (i condomini) e la ‘eadem causa obbligandi’, la unicità della causa: il contratto da cui l'obbligazione ha origine. È discutibile, invece, la unicità della prestazione (idem debitum) che certamente è unica ed indivisibile per il creditore, il quale effettua una prestazione nell'interesse e in favore di tutti condomini (il rifacimento della facciata, l'impermeabilizzazione del tetto, la fornitura del carburante per il riscaldamento etc.). L'obbligazione dei condomini (condebitori), invece, consistendo in una somma di danaro, raffigura una prestazione comune, ma naturalisticamente divisibile.

Orbene, nessuna norma di legge espressamente dispone che il criterio della solidarietà si applichi alle obbligazioni dei condomini.

Non certo l'art. 1115 comma 1 cod. civ. Sotto la rubrica "obbligazioni solidali dei partecipanti", la norma stabilisce che ciascun partecipante può esigere che siano estinte le obbligazioni contratte in solido per la cosa comune e che la somma per estinguerle sia ricavata dal prezzo di vendita della stessa cosa. La disposizione, in quanto si riferisce alle obbligazioni contratte in solido dai comunisti per la cosa comune, ha valore meramente descrittivo, non prescrittivo: non stabilisce che le obbligazioni debbano essere contratte in solido, ma regola le obbligazioni che, concretamente, sono contratte in solido. A parte ciò, la disposizione non riguarda il condominio negli edifici e non si applica al condominio, in quanto regola l'ipotesi di vendita della cosa comune. La disposizione, infatti, contempla la cosa comune soggetta a divisione e non le cose, gli impianti ed i servizi comuni del fabbricato, i quali sono contrassegnati dalla normale indivisibilità ai sensi dell'art. 1119 cod. civ. e, comunque, dalla assoluta inespropriabilità.

D'altra parte, nelle obbligazioni dei condomini la parziarietà si riconduce all'art. 1123 cod. civ., interpretato valorizzando la relazione tra la titolarità della obbligazione e la quella della cosa. Si tratta di obbligazioni propter rem, che nascono come conseguenza dell'appartenenza in comune, in ragione della quota, delle cose, degli impianti e dei servizi e, solo in ragione della quota, a norma dell'art. 1123 cit., i condomini sono tenuti a contribuire alle spese per le parti comuni. Per la verità, la mera valenza interna del criterio di ripartizione raffigura un espediente elegante, ma privo di riscontro nei dati formali.

Se l'argomento che la ripartizione delle spese regolata dall'art. 1123 comma 1 cod. civ. riguardi il mero profilo interno non persuade, non convince neppure l'asserto che il comma 2 dello stesso art. 1223 - concernente la ripartizione delle spese per l'uso delle parti comuni destinate a servire i condomini in misura diversa, in proporzione all'uso che ciascuno può fame - renda impossibile l'attuazione parziaria all'esterno: con la conseguenza che, quanto all'attuazione, tutte le spese disciplinate dall'art. 1223 cit. devono essere regolate allo stesso modo.

Entrambe le ipotesi hanno in comune il collegamento con la res. Il primo comma riguarda le spese per la conservazione delle cose comuni, rispetto alle quali l'inerenza ai beni è immediata; il secondo comma concerne le spese per l'uso, in cui sussiste comunque il collegamento con le cose: l'obbligazione, ancorché influenzata nel quantum dalla misura dell'uso diverso, non prescinde dalla contitolarità delle parti comuni, che ne costituisce il fondamento. In ultima analisi, configurandosi entrambe le obbligazioni come obligationes propter rem, in quanto connesse con la titolarità del diritto reale sulle parti comuni, ed essendo queste obbligazioni comuni naturalisticamente divisibili ex parte debitoris, il vincolo solidale risulta inapplicabile e prevale la struttura intrinsecamente parziaria delle obbligazioni. D'altra parte, per la loro ripartizione in pratica si può sempre fare riferimento alle diverse tabelle millesimali relative alla proprietà ed alla misura dell'uso.

2.5 Né la solidarietà può ricondursi alla asserita unitarietà del gruppo dei condomini.

Dalla giurisprudenza, il condominio si definisce come "ente di gestione", per dare conto del fatto che la legittimazione dell'amministratore non priva i singoli partecipanti della loro legittimazione ad agire in giudizio in difesa dei diritti relativi alle parti comuni; di avvalersi autonomamente dei mezzi di impugnazione; di intervenire nei giudizi intrapresi dall'amministratore, ecc..

Ma la figura dell'ente, ancorché di mera gestione, suppone che coloro i quali ne hanno la rappresentanza non vengano surrogati dai partecipanti. D'altra parte, gli enti di gestione in senso tecnico raffigurano una categoria definita ancorché non unitaria, ai quali dalle leggi sono assegnati compiti e responsabilità differenti e la disciplina eterogenea si adegua alle disparate finalità perseguite (art. 3 legge 22 dicembre 1956, n. 1589). Gli enti di gestione operano in concreto attraverso le società per azioni di diritto comune, delle quali detengono le partecipazioni azionarie e che organizzano nei modi più opportuni: in attuazione delle direttive governative, razionalizzano le attività controllate, coordinano i programmi e assicurano l'assistenza finanziaria mediante i fondi di dotazione. Per la struttura, gli enti di gestione si contrassegnano in ragione della soggettività (personalità giuridica pubblica) e dell'autonomia patrimoniale (la titolarità delle partecipazioni azionarie e del fondo di dotazione).

Orbene, nonostante l'opinabile rassomiglianza della funzione - il fatto che l'amministratore e l'assemblea gestiscano le parti comuni per conto dei condomini, ai quali le parti comuni appartengono - le ragguardevoli diversità della struttura dimostrano la inconsistenza del ripetuto e acritico riferimento dell'ente di gestione al condominio negli edifici.

Il condominio, infatti, non è titolare di un patrimonio autonomo, né di diritti e di obbligazioni: la titolarità dei diritti sulle cose, gli impianti e i servizi di uso comune, in effetti, fa capo ai singoli condomini; agli stessi condomini sono ascritte le obbligazioni per le cose, gli impianti ed i servizi comuni e la relativa responsabilità; le obbligazioni contratte nel cosiddetto interesse del condominio non si contraggono in favore di un ente, ma nell'interesse dei singoli partecipanti.

Secondo la giurisprudenza consolidata, poi, l'amministratore del condominio raffigura un ufficio di diritto privato assimilabile al mandato con rappresentanza: con la conseguente applicazione, nei rapporti tra l'amministratore e ciascuno dei condomini, delle disposizioni sul mandato.

Orbene, la rappresentanza, non soltanto processuale, dell'amministratore del condominio è circoscritta alle attribuzioni - ai compiti ed ai poteri - stabilite dall'art. 1130 cod. civ..

In giudizio l'amministratore rappresenta i singoli condomini, i quali sono parti in causa nei limiti della loro quota (art. 1118 e 1123 cod. civ.). L'amministratore agisce in giudizio per la tutela dei diritti di ciascuno dei condomini, nei limiti della loro quota, e solo in questa misura ognuno dei condomini rappresentati deve rispondere delle conseguenze negative. Del resto, l'amministratore non ha certo il potere di impegnare i condomini al di là del diritto, che ciascuno di essi ha nella comunione, in virtù della legge, degli atti d'acquisto e delle convenzioni. In proporzione a tale diritto ogni partecipante concorre alla nomina dell'amministratore e in proporzione a tale diritto deve ritenersi che gli conferisca la rappresentanza in giudizio. Basti pensare che, nel caso in cui l'amministratore agisca o sia convenuto in giudizio per la tutela di un diritto, il quale fa capo solo a determinati condomini, soltanto i condomini interessati partecipano al giudizio ed essi soltanto rispondono delle conseguenze della lite.

Pertanto, l'amministratore - in quanto non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti dei suoi poteri, che non contemplano la modifica dei criteri di imputazione e di ripartizione delle spese stabiliti dall'art. 1123 c.c. - non può obbligare i singoli condomini se non nei limiti della rispettiva quota.

2.5 Riepilogando, ritenuto che la solidarietà passiva, in linea di principio, esige la sussistenza non soltanto della pluralità dei debitori e della identica causa dell'obbligazione, ma altresì della indivisibilità della prestazione comune; che in mancanza di quest'ultimo requisito e in difetto di una espressa disposizione di legge, la intrinseca parziarietà della obbligazione prevale; considerato che l'obbligazione ascritta a tutti i condomini, ancorché comune, è divisibile, trattandosi di somma di danaro; che la solidarietà nel condominio non è contemplata da nessuna disposizione di legge e che l'art. 1123 cit., interpretato secondo il significato letterale e secondo il sistema in cui si inserisce, non distingue il profilo esterno e quello interno; rilevato, infine, che - in conformità con il difetto di struttura unitaria del condominio, la cui organizzazione non incide sulla titolarità individuale dei diritti, delle obbligazioni e della relativa responsabilità - l'amministratore vincola i singoli nei limiti delle sue attribuzioni e del mandato conferitogli in ragione delle quote: tutto ciò premesso, le obbligazioni e la susseguente responsabilità dei condomini sono governate dal criterio dalla parziarietà. Ai singoli si imputano, in proporzione alle rispettive quote, le obbligazioni assunte nel cosiddetto "interesse del condominio", in relazione alle spese per la conservazione e per il godimento delle cose comuni dell'edificio, per la prestazione dei servizi nell'interesse comune e per le innovazioni deliberate dalla maggioranza. Pertanto, le obbligazioni dei condomini sono regolate da criteri consimili a quelli dettati dagli artt. 752 e 1295 cod. civ., per le obbligazioni ereditarie, secondo cui i coeredi concorrono al pagamento dei debiti ereditali in proporzione alle loro quote e l'obbligazione in solido di uno dei condebitori tra gli eredi si ripartisce in proporzione alle quote ereditarie.

2.6 Il contratto, stipulato dall'amministratore rappresentante, in nome e nell'interesse dei condomini rappresentati e nei limiti delle facoltà conferitegli, produce direttamente effetti nei confronti dei rappresentati. Conseguita nel processo la condanna dell'amministratore, quale rappresentante dei condomini, il creditore può procedere all'esecuzione individualmente nei confronti dei singoli, secondo la quota di ciascuno.

Per concludere, la soluzione, prescelta secondo i rigorosi principi di diritto che regolano le obbligazioni contrattuali comuni con pluralità di soggetti passivi, appare adeguata alle esigenze di giustizia sostanziale emergenti dalla realtà economica e sociale del condominio negli edifici.

Per la verità, la solidarietà avvantaggerebbe il creditore il quale, contrattando con l'amministratore del condominio, conosce la situazione della parte debitrice e può cautelarsi in vari modi; ma appare preferibile il criterio della parziarietà, che non costringe i debitori ad anticipare somme a volte rilevantissime in seguito alla scelta (inattesa) operata unilateralmente dal creditore. Allo stesso tempo, non si riscontrano ragioni di opportunità per posticipare la ripartizione del debito tra i condomini al tempo della rivalsa, piuttosto che attuarla al momento dell'adempimento.

Respinto il motivo principale, non merita accoglimento nessuno degli altri motivi di ricorso.

Non il secondo ed il sesto. Stando alle disposizioni sul condominio (art. 67 disp. att., del resto in conformità con quanto stabilito per le spese gravanti sull'usufrutto dagli artt. 1004 e 1005 cod. civ.), fanno carico all'usufruttuario le spese attinenti all'ordinaria amministrazione ed al semplice godimento delle cose e dei servizi comuni, mentre le innovazioni, le ricostruzioni e le spese di manutenzione straordinaria competono al proprietario: ma le spese fanno capo all'usufruttuario limitatamente al tempo in cui egli è titolare del diritto reale su cosa altrui. Correttamente, perciò, la Corte d'Appello non ha considerato responsabile A. R., in quanto l'usufrutto da lui era stato acquistato in epoca successiva alla data, in cui l'esecuzione dei lavori era stata commissionata ed eseguita.

Non il terzo motivo, posto che il giudice del merito ha preso in esame la questione di diritto inerente alla la controversia e ritenuta indispensabile per la decisione.

Non il quarto ed il quinto motivo, in quanto la decisione sulle spese processuali è rimessa al giudice del merito, con il solo limite di non condannare la parte interamente vittoriosa.

Avuto riguardo alla difficoltà della materia ed al contrasto esistente in giurisprudenza, si ravvisano i giusti motivi per compensare interamente tra le parti le spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese.

Fideiussione, piena autonomina tra l'obbligazione e quella del rapporto principale

Cassazione civile , SS.UU., sentenza 05.02.2008 n° 2655

"..osserva il Collegio che questa Suprema Corte ha già più di una volta affermato (C. Cass. 1996/365 e 1998/10188) che per quanto fra loro collegate, l'obbligazione principale e quella fideiussoria mantengono una propria individualità non soltanto soggettiva, data l'estraneità del fideiussore al rapporto richiamato dalla garanzia, ma anche oggettiva in quanto la causa fideiussoria è fissa ed uniforme, mentre l'obbligazione garantita può basarsi su qualsiasi altra causa idonea allo scopo.

Ne deriva che la disciplina dell'obbligazione garantita non influisce su quella della fideiussione, per la quale continuano perciò a valere le normali regole, ivi comprese quelle sul pagamento e la giurisdizione"

In argomento di fideiussione e polizza fideiussoria: Cassazione civile 2377/2008,
di contratto di fideiussione e conflitto d’interesse: Cassazione civile 174/2008,
di fideiussione e contratto autonomo di garanzia: Cassazione civile 26262/2007,
di avallo e fideiussione: Cassazione civile 23922/2007.


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Sentenza 5 febbraio 2008, n. 2655

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 16/5/2005, il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate proponevano ricorso contro la decisione in epigrafe indicata, chiedendone la cassazione con ogni consequenziale statuizione.

La spa A. G. resisteva con controricorso e depositata memoria da entrambe le parti, la controversia veniva decisa all'esito della pubblica udienza del 15/1/2008.

Motivi della decisione

Dalla lettura della sentenza impugnata, del ricorso e del controricorso, emerge in fatto che con decreto ministeriale in data 1/6/1999, la srl D. S. veniva dichiarata decaduta dal contributo ricevuto per la realizzazione di un nuovo stabilimento industriale che, contrariamente all'impegno assunto, non era mai stato messo in opera perchè destinato a parco giochi.

Fallita nel frattempo la D. S., l'Ufficio di Ariano Irpino dell'Agenzia delle Entrate intraprendeva il recupero dell'erogazione iscrivendone a ruolo l'importo nei confronti della spa Assicurazioni Generali, che aveva prestato fideiussione in favore della beneficiaria.

La concessionaria Uniriscossioni notificava la relativa cartella e la spa A. G. la impugnava dinanzi al Tribunale di Napoli, sostenendo che la controparte non avrebbe potuto iscrivere direttamente a ruolo perchè, nel caso di specie, non si trattava di un'entrata di natura tributaria, ma di un ordinario credito di fonte privatistica, per soddisfarsi del quale avrebbe dovuto dapprima munirsi del necessario titolo.

Il giudice adito annullava la cartella ed il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate si gravavano alla Corte di appello che, tuttavia, confermava la decisione di primo grado sottolinenando, quanto all'eccezione di difetto di giurisdizione riproposta dalle Amministrazioni appellanti, che il rapporto dedotto in giudizio non aveva niente a vedere con quello (pubblicistico) di finanziamento e, quanto al merito, che in base al chiaro disposto del D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 21, le entrate che, come quella in esame, "ave(vano) causa in rapporti di diritto privato" potevano essere "iscritte a ruolo (solo) quando risulta(va)no da titolo avente efficacia esecutiva". Il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate hanno censurato l'anzidetta decisione, deducendo con il primo motivo "Difetto di giurisdizione - Violazione degli artt. 1936 e 1944 c.c. - Omessa motivazione (in relazione all'art. 360 c.p.c., nn 1, 3 e 5)", in quanto la Corte di appello aveva ritenuto la propria giurisdizione senza considerare che avendo carattere meramente accessorio, il rapporto di garanzia era destinato a seguire le sorti di quello principale che, attenendo ad una sovvenzione pubblica, costituiva materia riservata alla cognizione del giudice amministrativo.

Con il secondo motivo il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate hanno invece dedotto la "Violazione degli L. n. 46 del 1999, artt. 17 e L. n. 449 del 1997, art. 24, comma 32, e falsa applicazione del D.Lgs. n. 76 del 1990, art. 39, comma 11 e D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 21, - Omessa o comunque insufficiente e contraddittoria motivazione (in relazione all'art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5)", in quanto l'Ufficio di Ariano Irpino aveva legittimamente proceduto all'iscrizione a ruolo, perchè anche se attivata nei confronti del fideiussore, la procedura aveva per oggetto il recupero del contributo e, dunque, un'entrata di matrice indubbiamente pubblica che, di conseguenza, poteva essere riscossa senza necessità della previa formazione di un titolo esecutivo, non avendo il succitato art. 21 comportato alcuna abrogazione della normativa concernente tale tipo di entrate.

Così riassunto il contenuto del ricorso e premesso che diversamente da quanto sostenuto nella memoria di parte ricorrente non v'era bisogno d'integrare il contraddittorio nei confronti del Ministero dell'Industria (oggi dello Sviluppo Economico), in quanto la controversia riguardava unicamente la legittimità del ruolo emesso dall'Ufficio locale dell'Agenzia delle Entrate, osserva il Collegio che questa Suprema Corte ha già più di una volta affermato (C. Cass. 1996/365 e 1998/10188) che per quanto fra loro collegate, l'obbligazione principale e quella fideiussoria mantengono una propria individualità non soltanto soggettiva, data l'estraneità del fideiussore al rapporto richiamato dalla garanzia, ma anche oggettiva in quanto la causa fideiussoria è fissa ed uniforme, mentre l'obbligazione garantita può basarsi su qualsiasi altra causa idonea allo scopo.

Ne deriva che la disciplina dell'obbligazione garantita non influisce su quella della fideiussione, per la quale continuano perciò a valere le normali regole, ivi comprese quelle sul pagamento e la giurisdizione.

Nè vale in contrario replicare che per l'Amministrazione non vi sarebbe nessuna differenza fra il rapporto intercorrente con il beneficiario del finanziamento e quello intercorrente con il fideiussore, che essendosi assunto il medesimo obbligo di restituzione gravante sul garantito, diventa suo condebitore solidale ai sensi dell'art. 1944 c.c..

L'obiezione non può essere condivisa perchè anche a prescindere da ogni considerazione sulla effettiva possibilità di equiparare la solidarietà ordinaria a quella fideiussoria, rispetto alla quale difetta quella comunione d'interessi che caratterizza la prima, rimane comunque il fatto, già puntualmente sottolineato dalla citata C. Cass. 1998/10188, che si tratta pur sempre di rapporti nettamente distinti, atteso che quello con il beneficiario riguarda i diritti e gli obblighi derivanti dalla concessione del finanziamento, mentre quello con il fideiussore trova il suo fondamento nella garanzia dal medesimo prestata ed ha per oggetto non la restituzione del contributo, ma il pagamento di una somma equivalente per l'ipotesi di mancato adempimento del debitore principale.

In applicazione dei predetti principi, che il Collegio condivide e ribadisce, va pertanto dichiarata la giurisdizione del giudice ordinario a conoscere dell'opposizione proposta dalla spa A. G. contro la cartella esattoriale notificatale dalla spa Uniriscossioni.

Il primo motivo del ricorso va, pertanto, rigettato non senza sottolineare che anche nel caso in cui si fosse voluto accedere alla tesi caldeggiata da parte ricorrente, avrebbe dovuto ugualmente concludersi per la giurisdizione dell'AGO in quanto, per giurisprudenza consolidata di queste Sezioni Unite, la posizione del beneficiario che, come la D. S., abbia ottenuto la erogazione del contributo, assume la consistenza del diritto soggettivo, che a sua volta comporta la devoluzione al giudice ordinario di tutte le controversie relative alla decadenza, revoca o ripetizione della sovvenzione (v., tra le più recenti in tal senso, C. Cass. 2007/117 e 2007/8232).

Parimenti da rigettare è anche il secondo motivo, a proposito del quale è sufficiente rilevare che una volta riconosciuta l'applicabilità delle comuni regole all'obbligazione fideiussoria delle A. G., deve per l'effetto affermarsi la impossibilità, per l'Amministrazione, di farla valere subito a mezzo d'iscrizione a ruolo, stante l'inequivoco divieto frapposto al riguardo dal D.Lgs. n. 46 del 1999, art. 21, che per le entrate di natura privatistica, consente tale tipo di riscossione solo previa formazione di adeguato titolo esecutivo.

Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate in complessivi 8.100,00 Euro, 100,00 dei quali per esborsi, oltre gli accessori di legge.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione, a sezioni unite, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, rigetta il ricorso e condanna il Ministero dell'Economia e delle Finanze e l'Agenzia delle Entrate al pagamento delle spese di lite, liquidate in complessivi 8.100,00 Euro, 100,00 dei quali per esborsi, oltre gli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 15 gennaio 2008.

Depositato in Cancelleria il 5 febbraio 2008.

domenica 20 aprile 2008

Assegni, la rivoluzione del 30 aprile 2008

Le prime sei regole dell'Abi:

1) LIMITE A 5.000 EURO: Gli assegni bancari, circolari o postali con un importo pari o superiore a 5.000 euro dovranno riportare la clausola 'non trasferibile'.
2) ARRIVANO I 'NUOVI ASSEGNI': I nuovi carnet di assegni distribuiti dalle banche saranno già muniti della dicitura 'non trasferibile'. Quelli liberi (per importi inferiori ai 5.000 euro) si potranno avere richiedendoli in banca e pagando 1,50 euro di imposta di bollo per ciascun assegno o 15 euro per un blocchetto da 10. L'imposta di bollo sarà versata dalla banca allo Stato.
3) CHE FARE CON I VECCHI? I 'vecchi' carnet di assegni, emessi prima dell'entrata in vigore delle nuove misure, potranno essere usati fino al loro esaurimento e per importi pari o superiori a 5.000 euro è necessario 'validarli' inserendo la clausola di 'non trasferibilita''.
4) PER LA GIRATA SERVE IL CODICE FISCALE: Sugli assegni in forma libera ogni girata, pena la sua nullità, dovrà riportare il codice fiscale di chi la effettua.
5) STOP AL 'ME MEDESIMO': Gli assegni intestati a 'me medesimo' possono essere girati per l'incasso soltanto presso uno sportello bancario o postale, vengono considerati 'non trasferibili' e possono essere incassati unicamente dall'emittente che non può girarli ad altri.
6) LIBRETTI: Il saldo dei libretti di deposito al portatore non potrà essere pari o superiore alla somma di 5.000 euro. Per quelli in essere è prevista l'estinzione o la riduzione alla soglia stabilita dalla legge entro il 30 giugno 2009. Per chi usa in modo scorretto gli assegni sono previste sanzioni che vanno dall'1% al 40% del totale dell'importo trasferito. Sanzioni anche per chi non regolarizza gli importi per i libretti al portatore entro il 30 giugno 2009: si va dal 10 al 20% del saldo del libretto.

_____________

L'intervento rientra nell'applicazione delle norme antiriciclaggio.
Ecco le norme più significative del Dlgs n. 231/2007 , pubblicato nella GU n. 290 del 14.12. 2007- Suppl. Ordinario n. 268/L

omissis............

Titolo III

MISURE ULTERIORI

Articolo 49.

Limitazioni all'uso del contante e dei titoli al portatore

1. È vietato il trasferimento di denaro contante o di libretti di deposito bancari o postali al portatore o di titoli al portatore in euro o in valuta estera, effettuato a qualsiasi titolo tra soggetti diversi, quando il valore dell'operazione, anche frazionata, è complessivamente pari o superiore a 5.000 euro. Il trasferimento può tuttavia essere eseguito per il tramite di banche, istituti di moneta elettronica e Poste Italiane S.p.A.

2. Il trasferimento per contanti per il tramite dei soggetti di cui al comma 1 deve essere effettuato mediante disposizione accettata per iscritto dagli stessi, previa consegna ai medesimi della somma in contanti. A decorrere dal terzo giorno lavorativo successivo a quello dell'accettazione, il beneficiario ha diritto di ottenere il pagamento nella provincia del proprio domicilio.

3. La comunicazione da parte del debitore al creditore dell'accettazione di cui al comma 2 produce l'effetto di cui al primo comma dell'articolo 1277 delcodice civile [13] e, nei casi di mora del creditore, anche gli effetti del deposito previsti dall'articolo 1210 dello stesso codice [14].

4. I moduli di assegni bancari e postali sono rilasciati dalle banche e da Poste Italiane S.p.A. muniti della clausola di non trasferibilità. Il cliente può richiedere, per iscritto, il rilascio di moduli di assegni bancari e postali in forma libera.

5. Gli assegni bancari e postali emessi per importi pari o superiori a 5.000 euro devono recare l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.

6. Gli assegni bancari e postali emessi all'ordine del traente possono essere girati unicamente per l'incasso a una banca o a Poste Italiane S.p.A.

7. Gli assegni circolari, vaglia postali e cambiari sono emessi con l'indicazione del nome o della ragione sociale del beneficiario e la clausola di non trasferibilità.

8. Il rilascio di assegni circolari, vaglia postali e cambiari di importo inferiore a 5.000 euro può essere richiesto, per iscritto, dal cliente senza la clausola di non trasferibilità.

9. Il richiedente di assegno circolare, vaglia cambiario o mezzo equivalente, intestato a terzi ed emesso con la clausola di non trasferibilità, può chiedere il ritiro della provvista previa restituzione del titolo all'emittente.

10. Per ciascun modulo di assegno bancario o postale richiesto in forma libera ovvero per ciascun assegno circolare o vaglia postale o cambiario rilasciato in forma libera è dovuta dal richiedente, a titolo di imposta di bollo, la somma di 1,50 euro. Ciascuna girata deve recare, a pena di nullità, il codice fiscale del girante.

11. I soggetti autorizzati a utilizzare le comunicazioni di cui all'articolo 7, sesto comma, del decreto del Presidente della Repubblica 29settembre 1973, n. 605 [15], e successive modificazioni, possono chiedere alla banca o a Poste Italiane S.p.A. i dati identificativi e il codice fiscale dei soggetti ai quali siano stati rilasciati moduli di assegni bancari o postali in forma libera ovvero che abbiano richiesto assegni circolari o vaglia postali o cambiari in forma libera nonché di coloro che li abbiano presentati all'incasso. Con provvedimento del Direttore dell'Agenzia delle entrate sono individuate le modalità tecniche di trasmissione dei dati di cui al presente comma. La documentazione inerente i dati medesimi, costituisce prova documentale ai sensi dell'articolo 234 del codice di procedura penale [16].

12. Il saldo dei libretti di deposito bancari o postali al portatore non può essere pari o superiore a 5.000 euro.

13. I libretti di deposito bancari o postali al portatore con saldo pari o superiore a 5.000 euro, esistenti alla data di entrata in vigore del presente decreto, sono estinti dal portatore ovvero il loro saldo deve essere ridotto a una somma non eccedente il predetto importo entro il 30 giugno 2009. Le banche e Poste Italiane S.p.A. sono tenute a dare ampia diffusione e informazione a tale disposizione.

14. In caso di trasferimento di libretti di deposito bancari o postali al portatore, il cedente comunica, entro 30 giorni, alla banca o a Poste Italiane S.p.A, i dati identificativi del cessionario e la data del trasferimento.

15. Le disposizioni di cui ai commi 1, 5 e 7 non si applicano ai trasferimenti in cui siano parte banche o Poste Italiane S.p.A., nonché ai trasferimenti tra gli stessi effettuati in proprio o per il tramite di vettori specializzati di cui all'articolo 14, comma 1, lettera c).

16. Le disposizioni di cui al comma 1 non si applicano ai trasferimenti di certificati rappresentativi di quote in cui siano parte uno o più soggetti indicati all'articolo 11, comma 1, lettere a) e b), e dalla lettera d) alla lettera g).

17. Restano ferme le disposizioni relative ai pagamenti effettuati allo Stato o agli altri enti pubblici e alle erogazioni da questi comunque disposte verso altri soggetti. È altresì fatta salva la possibilità di versamento prevista dall'articolo 494 del codice di procedura civile [17].

18. È vietato il trasferimento di denaro contante per importi pari o superiori a 2.000 euro, effettuato per il tramite degli esercenti attività di prestazione di servizi di pagamento nella forma dell'incasso e trasferimento dei fondi, limitatamente alle operazioni per le quali si avvalgono di agenti in attività finanziaria, salvo quanto disposto dal comma 19. Il divieto non si applica nei confronti della moneta elettronica di cui all'articolo 25, comma 6, lettera d).

19. Il trasferimento di denaro contante per importi pari o superiori a 2.000 euro e inferiori a 5.000 euro, effettuato per il tramite di esercenti attività di prestazione di servizi di pagamento nella forma dell'incasso e trasferimento dei fondi, nonché di agenti in attività finanziaria dei quali gli stessi esercenti si avvalgono, è consentito solo se il soggetto che ordina l'operazione consegna all'intermediario copia di documentazione idonea ad attestare la congruità dell'operazione rispetto al profilo economico dello stesso ordinante.

20. Le disposizioni di cui al presente articolo entrano in vigore il 30 aprile 2008.

Articolo 50.

Divieto di conti e libretti di risparmio anonimi o con intestazione fittizia

1. L'apertura in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia è vietata.

2. L'utilizzo in qualunque forma di conti o libretti di risparmio in forma anonima o con intestazione fittizia aperti presso Stati esteri è vietata.

Articolo 51.

Obbligo di comunicazione al Ministero dell'economia e delle finanze delle infrazioni di cui al presente Titolo

1. I destinatari del presente decreto che, in relazione ai loro compiti di servizio e nei limiti delle loro attribuzioni e attività, hanno notizia di infrazioni alle disposizioni di cui all'articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12, 13 e 14, e all'articolo 50 ne riferiscono entro trenta giorni al Ministero dell'economia e delle finanze per la contestazione e gli altri adempimenti previsti dall'articolo 14 della legge 24 novembre 1981, n. 689.

2. In caso di infrazioni riguardanti assegni bancari, assegni circolari, libretti al portatore o titoli similari, la comunicazione deve essere effettuata dalla banca o da Poste Italiane S.p.A. che li accetta in versamento e dalla banca o da Poste Italiane S.p.A. che ne effettua l'estinzione salvo che il soggetto tenuto alla comunicazione abbia certezza che la stessa è stata già effettuata dall'altro soggetto obbligato.

3. Qualora oggetto dell'infrazione sia un'operazione di trasferimento segnalata ai sensi dell'articolo 41, comma 1, il soggetto che ha effettuato la segnalazione di operazione sospetta non è tenuto alla comunicazione di cui al comma 1.

omissis..........

Titolo IV

VIGILANZA E CONTROLLI

Articolo 52.

Organi di controllo

1. Fermo restando quanto disposto dal codice civile e da leggi speciali, il collegio sindacale, il consiglio di sorveglianza, il comitato di controllo di gestione, l'organismo di vigilanza di cui all'articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo 8 giugno 2001, n. 231, e tutti i soggetti incaricati del controllo di gestione comunque denominati presso i soggetti destinatari del presente decreto vigilano sull'osservanza delle norme in esso contenute.

2. Gli organi e i soggetti di cui al comma 1:

a) comunicano, senza ritardo, alle autorità di vigilanza di settore tutti gli atti o i fatti di cui vengono a conoscenza nell'esercizio dei propri compiti, che possano costituire una violazione delle disposizioni emanate ai sensi dell'articolo 7, comma 2;b) comunicano, senza ritardo, al titolare dell'attività o al legale rappresentante o a un suo delegato, le infrazioni alle disposizioni di cui all'articolo 41 di cui hanno notizia;

c) comunicano, entro trenta giorni, al Ministero dell'economia e delle finanze le infrazioni alle disposizioni di cui all'articolo 49, commi 1, 5, 6, 7, 12,13 e 14 e all'articolo 50 di cui hanno notizia;

d) comunicano, entro trenta giorni, alla UIF le infrazioni alle disposizioni contenute nell'articolo 36 di cui hanno notizia.

omissis..........

Articolo 58.

Violazioni del Titolo III

1. Fatta salva l'efficacia degli atti, alle violazioni delle disposizioni di cui all'articolo 49, commi 1, 5, 6 e 7, si applica una sanzione amministrativa pecuniaria dall'1 per cento al 40 per cento dell'importo trasferito.

2. La violazione della prescrizione di cui all'articolo 49, comma 12, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 20 per cento al 40 per cento del saldo.

3. La violazione della prescrizione contenuta nell'articolo 49, commi 13 e 14, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 per cento al 20 per cento del saldo del libretto al portatore.

4. La violazione delle prescrizioni contenute nell'articolo 49, commi 18 e 19, è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 20 per cento al 40 per cento dell'importo trasferito.

5. La violazione del divieto di cui all'articolo 50, comma 1, è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 20 per cento al 40 per cento del saldo.

6. La violazione del divieto di cui all'articolo 50, comma 2, è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 10 per cento al 40 per cento del saldo.

7. La violazione dell'obbligo di cui all'articolo 51, comma 1, del presente decreto è punita con una sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 per cento al 30 per cento dell'importo dell'operazione, del saldo del libretto ovvero del conto.

omissis.............

ALLEGATO TECNICO

Articolo 1.

Articolo 1, comma 2, lettera o) Persone politicamente esposte

1. Per persone fisiche che occupano o hanno occupato importanti cariche pubbliche s'intendono:

a) i capi di Stato, i capi di Governo, i Ministri e i Vice Ministri o Sottosegretari;

b) i parlamentari;

c) i membri delle corti supreme, delle corti costituzionali e di altri organi giudiziari di alto livello le cui decisioni non sono generalmente soggette a ulteriore appello, salvo in circostanze eccezionali;

d) i membri delle Corti dei conti e dei consigli di amministrazione delle banche centrali;

e) gli ambasciatori, gli incaricati d'affari e gli ufficiali di alto livello delle forze armate;

f) i membri degli organi di amministrazione, direzione o vigilanza delle imprese possedute dallo Stato.

In nessuna delle categorie sopra specificate rientrano i funzionari di livello medio o inferiore. Le categorie di cui alle lettere da a) a e) comprendono, laddove applicabili, le posizioni a livello europeo e internazionale.

2. Per familiari diretti s'intendono:

a) il coniuge;

b) i figli e i loro coniugi;

c) coloro che nell'ultimo quinquennio hanno convissuto con i soggetti di cui alle precedenti lettere;

d) i genitori.

3. Ai fini dell'individuazione dei soggetti con i quali le persone di cui al numero 1 intrattengono notoriamente stretti legami si fa riferimento a:

a) qualsiasi persona fisica che ha notoriamente la titolarità effettiva congiunta di entità giuridiche o qualsiasi altra stretta relazione d'affari con una persona di cui al comma 1;

b) qualsiasi persona fisica che sia unica titolare effettiva di entità giuridiche o soggetti giuridici notoriamente creati di fatto a beneficio della persona di cui al comma 1.

4. Senza pregiudizio dell'applicazione, in funzione del rischio, di obblighi rafforzati di adeguata verifica della clientela, quando una persona ha cessato di occupare importanti cariche pubbliche da un periodo di almeno un anno i soggetti destinatari del presente decreto non sono tenuti a considerare tale persona come politicamente esposta

Articolo 2.

Articolo 1, comma 2, lettera u). Titolare effettivo

1. Per titolare effettivo s'intende:

a) in caso di società:

1) la persona fisica o le persone fisiche che, in ultima istanza, possiedano o controllino un'entità giuridica, attraverso il possesso o il controllo diretto o indiretto di una percentuale sufficiente delle partecipazioni al capitale sociale o dei diritti di voto in seno a tale entità giuridica, anche tramite azioni al portatore, purché non si tratti di una società ammessa alla quotazione su un mercato regolamentato e sottoposta a obblighi di comunicazione conformi alla normativa comunitaria o a standard internazionali equivalenti; tale criterio si ritiene soddisfatto ove la percentuale corrisponda al 25 per cento più uno di partecipazione al capitale sociale;

2) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano in altro modo il controllo sulla direzione di un'entità giuridica;

b) in caso di entità giuridiche quali le fondazioni e di istituti giuridici quali i trust, che amministrano e distribuiscono fondi:

1) se i futuri beneficiari sono già stati determinati, la persona fisica o le persone fisiche beneficiarie del 25 per cento o più del patrimonio di un'entità giuridica;

2) se le persone che beneficiano dell'entità giuridica non sono ancora state determinate, la categoria di persone nel cui interesse principale è istituita o agisce l'entità giuridica;

3) la persona fisica o le persone fisiche che esercitano un controllo sul 25 per cento o più del patrimonio di un'entità giuridica.

Articolo 3.

Articolo 19, comma 1, lettera a). Documenti validi per l'identificazione

1. Sono considerati validi per l'identificazione i documenti d'identità e di riconoscimento di cui agli articoli 1 e 35 del decreto del Presidente della Repubblica del 28 dicembre 2000, n. 445. Per l'identificazione di soggetti non comunitari e di soggetti minori d'età si applicano le disposizioni vigenti; con riferimento a nascituri e concepiti, l'identificazione è effettuata nei confronti del rappresentante legale. L'identificazione può essere svolta anche da un pubblico ufficiale a ciò abilitato ovvero a mezzo di una foto autenticata; in quest'ultimo caso sono acquisiti e riportati nell'archivio unico informatico, ovvero nel registro della clientela, gli estremi dell'atto di nascita dell'interessato.

Articolo 4.

Articolo 26. Criteri tecnici e procedure semplificate di adeguata verifica della clientela

1. Ai fini dell'applicazione dell'articolo 26, per soggetti e prodotti che presentano un basso rischio di riciclaggio dei proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo, s'intendono:

a) autorità o organismi pubblici che agiscano come clienti, a condizione che siano soddisfatti tutti i seguenti requisiti:

1) il cliente sia stato incaricato di funzioni pubbliche conformemente al trattato sull'Unione europea, ai trattati sulle Comunità europee o alla legislazione secondaria della Comunità europea;

2) l'identità del cliente sia pubblicamente disponibile, trasparente e certa;

3) le attività del cliente, così come le sue pratiche contabili, siano trasparenti;

4) il cliente renda conto del proprio operato a un'istituzione europea o alle autorità di uno Stato comunitario, ovvero esistano procedure di controlli e contrappesi che assicurino la verifica dell'attività del cliente;

b) entità giuridiche diverse dalle autorità o organismi pubblici di cui alla precedente lettera a), che agiscano come clienti, a condizione che siano soddisfatti tutti i seguenti requisiti:

1) il cliente sia un'entità che eserciti attività finanziarie che esulino dall'ambito di applicazione dell'articolo 2 della direttiva 2005/60/CE ma alle quali sia stata estesa la legislazione nazionale conformemente all'articolo 4 di tale direttiva;

2) l'identità del cliente sia pubblicamente disponibile, trasparente e certa;

3) in base al diritto nazionale, il cliente abbia ottenuto un'autorizzazione per esercitare le attività finanziarie e l'autorizzazione possa essere rifiutata se le autorità competenti non ottengano soddisfacente convinzione circa la competenza e l'onorabilità delle persone che dirigono o dirigeranno effettivamente l'attività di tale entità o del suo titolare effettivo;

4) il cliente sia soggetto a controllo, ai sensi dell'articolo 37, paragrafo 3, della direttiva 2005/60/CE, da parte delle autorità competenti per quanto riguarda l'osservanza della legislazione nazionale adottata conformemente a tale direttiva e, laddove applicabile, degli obblighi aggiuntivi previsti dalla legislazione nazionale;

5) la mancata osservanza degli obblighi di cui al numero 1) da parte del cliente sia soggetta a sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive, compresa la possibilità di adeguate misure amministrative o l'imposizione di sanzioni amministrative;

c) prodotti o operazioni collegate a tali prodotti che soddisfino tutti i seguenti requisiti:

1) il prodotto abbia una base contrattuale scritta;

2) le operazioni in questione siano eseguite tramite un conto del cliente presso un ente creditizio soggetto alla direttiva 2005/60/CE o presso un ente creditizio situato in un paese terzo che imponga obblighi equivalenti a quelli stabiliti da tale direttiva;

3) il prodotto o l'operazione in questione non siano anonimi e la loro natura sia tale da consentire la tempestiva applicazione dell'articolo 7, lettera c), della direttiva 2005/60/CE;

4) vi sia un limite predeterminato di valore massimo per il prodotto;

5) i vantaggi del prodotto o dell'operazione in questione non possano andare a beneficio di terzi, salvo in caso di decesso, invalidità, sopravvivenza a una predeterminata età avanzata o eventi analoghi;

6) nel caso di prodotti o operazioni che prevedono l'investimento di fondi in attività finanziarie o crediti, compresa l'assicurazione o altro tipo di crediti potenziali, i vantaggi del prodotto o dell'operazione siano realizzabili soltanto nel lungo termine, il prodotto o l'operazione non possano essere utilizzati come garanzia, non vengano fatti pagamenti anticipati, non vengano utilizzate clausole di riscatto e non vi sia recesso anticipato durante la relazione contrattuale.

1. Il criterio di cui al punto 1, lettera a), numero 1, si applica soltanto al cliente, non alle sue controllate, a meno che anch'esse non soddisfino i criteri per proprio conto.

2. Ai fini dell'applicazione del punto 1, lettera a), numero 3, l'attività esercitata dal cliente è soggetta a vigilanza da parte delle autorità competenti. In questo contesto per vigilanza si intende quella basata sui poteri di controllo più intensi, compresa la possibilità di effettuare ispezioni sul posto. Tali ispezioni possono includere la revisione di politiche, procedure, libri e registrazioni e comprendere verifiche a campione.

3. Ai fini dell'applicazione del punto 1, lettera c), numero 4, le soglie stabilite all'articolo 25, comma 6, lettera a), del presente decreto si applicano in caso di polizze assicurative o prodotti di risparmio di natura analoga. Senza pregiudizio del seguente comma, negli altri casi la soglia massima è 15.000 euro. È possibile derogare a questa soglia nel caso di prodotti che siano collegati al finanziamento di attività materiali e quando la titolarità legale ed effettiva delle attività non venga trasferita al cliente fino alla conclusione della relazione contrattuale, purché la soglia stabilita per le operazioni collegate a questo tipo di prodotto, indipendentemente dal fatto che siano effettuate con un'operazione unica o con diverse operazioni che appaiono collegate, non superi 25.000 euro all'anno.

4. Si può derogare ai criteri di cui al punto 1, lettera c), numeri 5) e 6), nel caso di prodotti le cui caratteristiche siano determinate dal Ministro dell'economia e delle finanze per finalità di interesse generale, che beneficino di speciali vantaggi dallo Stato sotto forma di erogazioni dirette o rimborsi fiscali e il cui utilizzo sia sottoposto a controllo da parte delle autorità pubbliche, purché i vantaggi dei prodotti siano realizzabili solo nel lungo termine e la soglia stabilita ai fini dell'applicazione della lettera c), numero 4), sia sufficientemente bassa. Se del caso, questa soglia può essere stabilita nella forma di un ammontare massimo su base annuale.

6. Nel valutare se i clienti o i prodotti e le operazioni di cui alle lettere a), b) e c), presentino un basso rischio di riciclaggio o di finanziamento del terrorismo, il Ministro dell'economia delle finanze presta particolare attenzione a qualsiasi attività di tali clienti o a qualsiasi tipo di prodotti o operazioni che possono essere considerati come particolarmente suscettibili, per loro natura, di uso o abuso a fini di riciclaggio dei proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo. I clienti o i prodotti e le operazioni di cui al punto 1, lettere a), b) e c), non possono essere considerati a basso rischio di riciclaggio dei proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo se le informazioni a disposizione indicano che il rischio di riciclaggio dei proventi di attività criminose o di finanziamento del terrorismo può non essere basso.




domenica 13 aprile 2008

Genitori, responsabilità civile, contenuto della prova liberatoria ex art. 2048 c.c.

Cassazione civile , sez. III, sentenza 20.04.2007 n° 9509

“la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’articolo 2048 c.c. e, cioè, di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore, capace di intendere e di volere, prova che si concretizza, normalmente, nella dimostrazione, oltre di avere impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di avere esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all’età”.

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 27 marzo-20 aprile 2007, n. 9509

(Presidente Preden – Relatore Varrone)

Svolgimento del processo

Con atto di citazione notificato il 3 ottobre 1997 G. S. e M. A. A., sia in proprio che nella qualità di esercenti la potestà sul figlio minore G., convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Palermo M. D. e A. S., sia in proprio che nella qualità di esercenti la potestà sul figlio minore G., esponendo che in data 6 aprile 1996, nel corso di un allenamento tennistico presso il Circolo del Tennis di Palermo, il figlio G. veniva colpito al volto da un colpo di racchetta da tennis sferratogli dal minore G. D. in maniera imprevedibile, subendo la frattura coronale dell’incisivo centrale e laterale superiore di sinistra e ferita lacero contusa del labbro inferiore; che la responsabilità delle lesioni era da ricondurre al comportamento di G. D., del cui operato i convenuti erano tenuti, nella dedotta qualità, a rispondere. Ne chiedevano, quindi, la condanna in solido al risarcimento dei danni morali, patrimoniali e non patrimonìali subiti dal loro figlio G. S..

Nel costituirsi in giudizio, i convenuti contestavano la dinamica del sinistro che era da ricondurre a fatto e colpa esclusivi di G. S.. Chiedevano, quindi, il rigetto della domanda attrice contestando che, nel caso di specie, ricorressero gli estremi della culpa in aeducando e/o di quella in vigilando.

Procedutosi ad attività istruttoria mediante assunzione dei testi addotti dagli attori e a consulenza medico legale sulla natura e gli esiti delle lesioni subite dal minore G. S., il Tribunale, con sentenza del 3/28 novembre 2000, rigettava la domanda e condannava gli attori alle spese giudiziali, escludendo qualsiasi responsabilità dei convenuti ai sensi dell’articolo 2048 c.c..

L’appello proposto dai coniugi S. A. ed al quale avevano resistito i coniugi D. -S. era però accolto parzialmente dalla Corte palermitana, con sentenza 12 dicembre 2002, che ritenuti gli appellati responsabili dell’incidente occorso a G. S. nella misura del 70%, li condannava solidalmente, in proprio e nella qualità, al correlato risarcimento dei danni, liquidato in complessivi euro 9.442,39 all’attualità, con gli interessi dalla pronuncia, oltre ai due terzi delle spese del doppio grado (l’altro terzo compensato).

Riteneva il giudice del gravame che le modalità della vicenda evidenziassero la responsabilità dei genitori del minore G. D. sia sotto il profilo della culpa in aeducando che della culpa in vigilando ma che sussistesse anche un concorso di colpa del minore offeso, nella misura del 30%.

Hanno proposto ricorso per cassazione M. e G. D. ed A. S., affidandolo ad un motivo, illustrato anche con memoria. Hanno resistito G. e G. S. e M. A. A. con controricorso.

Motivi della decisione

Con l’unico motivo i ricorrenti, denunciando la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 2043 c.c. in relazione all’articolo 360 n. 3 c.p.c., contestano la pronuncia dei giudice di appello il quale, contrariamente a quello di primo grado, ha affermato la loro responsabilità per culpa in aeducando ed in vigilando sul falso presupposto che “dalle testimonianze rese dai testi assunti ... si evince come il minore G. D. non fosse socio del Circolo del Tennis, negli spazi riservati del quale si era introdotto eludendo, evidentemente, il controllo dei custodi, e che non fosse per niente iscritto al corso del S.A.T.”.

Il ricorso, ai limiti dell’ammissibilità (donde le conclusioni drastiche del P.G.) non è comunque fondato. Esso si infrange, infatti, contro l’accertamento della Corte territoriale la quale, premesso che gli attuali ricorrenti avrebbero dovuto offrire, al fine dell’esonero della loro responsabilità, la prova liberatoria richiesta ai genitori dall’articolo 2048 c.c. e, cioè, di non aver potuto impedire il fatto illecito commesso dal figlio minore, capace di intendere e di volere, prova che si concretizza, normalmente, nella dimostrazione, oltre di avere impartito al minore un’educazione consona alle proprie condizioni sociali e familiari, anche di avere esercitato sul medesimo una vigilanza adeguata all’età, ha ritenuto che tale prova non era stata offerta, poiché risultava “dall’esito dell’attività istruttoria in primo grado che il medesimo si era introdotto in un ambiente nel quale non era autorizzato ad accedere, non rivestendo la qualità di socio del Circolo del Tennis; che abbia praticato il c.d. tennis a muro senza la presenza e vigilanza di alcun maestro; che, pur essendo all’epoca dei fatto appena dodicenne, si fosse recato da solo ed autonomamente da Mondello, dove risiedeva, a Palermo, in viale del Fante ove ha sede il Circolo del Tennis circostanza questa affermata dagli appellanti e non contraddetta dagli appellati”.

Conclusione che fa buon governo dei principi affermati da questa Corte in tema di applicazione dell’articolo 2048, 1 comma c.c. (Cassazione 3088/97 e 4481/01 ex plurimis) e che anche sotto il profilo motivazionale (peraltro non espressamente censurato) appare congrua e logica, cosicché il ricorso si risolve in buona sostanza nella pretesa di riesaminare le risultanze istruttorie e di valutarle in modo difforme dal giudice palermitano; pretesa, com’è pacifico, inammissibile in questa sede.

Il ricorso va, pertanto, rigettato, con la conseguente condanna dei ricorrenti alle spese di questo grado

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti, in solido, al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi euro 1.100,00, di cui euro l.000,00 per onorari, oltre spese generali ed accessori di legge.

Genitori, responsabilità penale, per violazione obbligo dell’istruzione elementare dei figli

Cassazione penale , sez. III, sentenza 04.09.2007 n° 33847

"Specialmente di fronte a lunghe ingiustificate assenze da scuola – come è provato essere accaduto nel caso di specie – la sussistenza dello elemento soggettivo del reato non può essere esclusa dalla mancata prova della conoscenza delle comunicazioni inviate dalla autorità scolastica, atteso che la colpa, sufficiente per la configurabilità della contravvenzione in esame, è riscontrabile già nell’avare, senza giusto motivo, omesso di adempiere il proprio dovere di sorveglianza e di vigilanza sul minore e di assicurarsi che questo si rechi a scuola per ricevere l’istruzione."

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III PENALE

Sentenza 4 settembre 2007, n. 33847

(Pres. Vitalone – est. Franco)

Svolgimento del processo

B. P. venne rinviato a giudizio per rispondere del reato di cui all’art. 731 cod. pen. per avere, senza giusto motivo, omesso di impartire o fare impartire l’istruzione obbligatoria ai figli minori B. C. e D.

Il giudice di pace di Staiti Brancaleone, con la sentenza in epigrafe, assolse l’imputato perché il fatto non costituisce reato.

Osservò il giudice che mancava la prova che fosse stata inviata ai genitori la comunicazione con la quale li si informa delle assenza dei figli dalla scuola, sicché mancava anche la prova dello elemento soggettivo del reato non essendo certa la conoscenza del comportamento del minore da parte dei genitori. Invero, trattandosi di numerose famiglie di nomadi interessate al fenomeno, si generava una situazione di dubbio sulle persone dei genitori e sui minori, ricorrendo numerosi casi di omonimia.

Il Procuratore generale della Repubblica presso la corte d’appello di Reggio Calabria propone ricorso per cassazione deducendo contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. Premessa la gravità del fatto contestato – che potrebbe dar luogo anche ad una forma di sfruttamento minorile essendo notorio che i piccoli nomadi vengono impiegati tutto il giorno nell’accattonaggio – osserva che le lunghe assenze da scuola dei minori – provate dalle dichiarazioni dei dirigenti scolastici – non potevano sfuggire ad un genitore ligio ai doveri inerenti alla sua potestà.

Motivi della decisione

Il ricorso è fondato perché effettivamente l’obbligo imposto a chiunque sa rivestito di autorità o incarico della vigilanza sopra un minore di impartirgli o fargli impartire l’istruzione obbligatoria, implica anche l’obbligo di vigilare e controllare il minore per assicurarsi che questi si rechi realmente a scuola per ricevere l’istruzione. Specialmente di fronte a lunghe ingiustificate assenze da scuola – come è provato essere accaduto nel caso di specie – la sussistenza dello elemento soggettivo del reato non può essere esclusa dalla mancata prova della conoscenza delle comunicazioni inviate dalla autorità scolastica, atteso che la colpa, sufficiente per la configurabilità della contravvenzione in esame, è riscontrabile già nell’avare, senza giusto motivo, omesso di adempiere il proprio dovere di sorveglianza e di vigilanza sul minore e di assicurarsi che questo si rechi a scuola per ricevere l’istruzione.

La sentenza impugnata deve pertanto essere annullata per violazione dell’art. 731 cod. pen. oltre che manifesta illogicità della motivazione.

Va peraltro rilevato che i fatti sono stati contestati come commessi tra il settembre 2003 ed il marzo 2004. Ne consegue che alla data odierna il termine triennale di prescrizione si è già maturato.

La sentenza impugnata va pertanto annullata senza rinvio perché il reato è estinto per prescrizione.

P.Q.M.

La Corte Suprema di Cassazione annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il reato è estinto per prescrizione.

giovedì 10 aprile 2008

Partito polito, esclusione della lista, non sussiste la giurisdizione nè del G.A. nè dell'A.G.O.

CORTE DI CASSAZIONE, ORDINANZA, SEZIONI UNITE, 8.4.2008 N.9158

In contrasto con l'orientamento del Consiglio di Stato (recente Ordinanza della V Sezione del 1.4.2008 n. 12231, sono intervenute le Sezioni Unite della Suprema Corte affermando che la materia elettorale ricade nella funzione giurisdizionale esclusiva della Camere e dunque esula dalla giurisdizione dell'Autorità Giudiziaria Ordinaria e da quella della Giustizia Amministrativa.



SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Ordinanza 8 aprile 2008, n. 9158

Premesso in fatto che:

- il raggruppamento elettorale di partiti denominato La Sinistra Arcobaleno, unitamente ai sigg.ri. S. B., G. G., M. L. e R. S., hanno proposto ricorso al Tar Sicilia chie­dendo l'annullamento dei provvedimenti con cui l'Ufficio elettorale circoscrizionale Sicilia 2 ha revocato un precedente provvedimento di esclusione del partito Movimento per l'autonomia dalle elezioni indette per il rinnovo del Parlamento e l'Ufficio elettorale centrale nazionale ha poi dichiarato inam­missibile il reclamo proposto avverso detto provvedi­mento di revoca;

- il Movimento per l'autonomia ha proposto a questa corte regolamento preventivo di giurisdizione assu­mendo che le controversie attinenti all'ammissione delle liste dei partecipanti alle competizioni elet­torali per le Camere del Parlamento sono sottratte alla giurisdizione di qualsiasi giudice, sia ammini­strativo sia ordinario, e che sono esclusivamente de­volute alla cognizione della singola Camera parlamen­tare interessata all'elezione;

- il ricorrente ha altresì contestato la legittimazione de La Sinistra Arcobaleno ad opporsi all'ammissione di altre liste alla competizione elettorale ed ha af­fermato l'inammissibilità dell' impugnazione dì atti interni al procedimento elettorale finché non soprav­venga la proclamazione degli eletti;

- il ricorso, previa autorizzazione da parte del presi­dente di questa corte, è stato notificato a mezzo fax

- il Procuratore generale ha concluso per la declarato­ria di difetto assoluto di giurisdizione

Considerato in diritto che:

- prima di procedere all'esame della prospettata que­stione di giurisdizione occorre farsi carico di una questione preliminare, attinente al modo in cui il procedimento è stato instaurato ed all'applicazione delle norme dettate dal codice di rito in ordine ai termini che in detto procedimento vanno rispettati;

- la notifica del ricorso e dell' avviso di fissazione dell'udienza è avvenuta, per espressa autorizzazione in tal senso del presidente di questa corte, mediante l'utilizzo del fax;

- il ricorso a tale peculiare modalità di trasmissione è riconducibile alla previsione dell'art. 151 c.p.c, che consente di autorizzare la notifica in un "modo diverso da quello stabilito dalla legge" quando sus­sistano esigenze di particolare celerità; dell'esistenza nel presente caso di siffatte esigenze si dirà tra breve, quanto invece allo strumento del fax, la sua idoneità in via di principio a costituire un'adeguata forma di comunicazione di atti difensivi, in considerazione dei progressi compiuti dalla tecni­ca di trasmissione e delle garanzie inerenti, è desu­mibile dalla opzione compiuta dallo stesso legislato­re nell'introdurre una siffatta previsione - sia pure con riferimento a fattispecie specifiche di comunica­zione - nell'ultimo comma dell'art. 366 c.p.c. (come novellato dal d. lgs. n. 40 del 2006);

- è stata altresì disposta l'abbreviazione dei termini e l'udienza è stata perciò fissata a scadenza assai ravvicinata, rendendo così impossibile il puntuale rispetto dei termini che il codice di rito normalmen­te assicura alla difesa delle parti intimate;

- la assoluta peculiarità dell'oggetto del giudizio e la rilevanza costituzionale degli interessi in gioco inducono a ritenere questa scelta corretta, e perciò tale da consentire la trattazione del ricorso, e dan­no al contempo ragione del mancato accoglimento delle istanze di rinvio presentate dai difensori di alcune delle parti;

- occorre infatti tener conto della data fissata per la consultazione elettorale nel rispetto del disposto inderogabile dell'art. 61 cost., a tenore del quale le elezioni delle nuove Camere hanno luogo entro set­tanta giorni dalla fine delle precedenti: l'arco dì tempo così fissato costituisce, dunque, il limite en­tro il quale indefettibilmente deve intervenire ogni decisione giurisdizionale che si suppone pronunciata in via preventiva rispetto al momento della consulta­zione elettorale, ed il presupposto sul quale si è innestata la richiesta di tutela rivolta al giudice amministrativo - della giurisdìzione del quale questa corte è ora chiamata a decidere - è appunto che quel­la tutela debba precedere lo svolgimento della con­sultazione;

- in altre parole, il quesito al quale questa corte è chiamata a rispondere è se si configuri o meno, nella fase intercorrente tra l'indizione dei comizi eletto­rali e lo svolgimento delle votazioni, una giurisdi­zione (del giudice amministrativo o, eventualmente, di quello ordinario) in ordine ad una controversie avente ad oggetto l'ammissione o l'esclusione di li­ste elettorali: che tale risposta debba intervenire entro i limiti temporali fissati dalla data delle elezioni, come individuata in armonia con il citato art. 61 cost., è insito nel tenore stesso del quesito e nella sicura impossibilità di postulare una dila­zione delle operazioni elettorali oltre quel termine, e ciò rende necessario fissare termini di trattazione del ricorso coerenti con questa esigenza;

- non sfugge che, riducendo i termini processuali posti a tutela del diritto dì difesa ugualmente si mettono in gioco valori di rango costituzionale, ma, dovendo­si necessariamente trovare un contemperamento tra il rispetto di tali valori e quello, non meno rilevante, del corretto svolgimento delle consultazioni eletto­rali destinate a consentire ii puntuale funzionamento di una delle istituzioni cardine del sistema democra­tico e costituzionale, quale è il Parlamento, il pun­to di equilibrio consiste nel garantire, per un ver­so, che la decisione di questa corte intervenga in tempo utile rispetto alle suindicate scadenze eletto­rali, purché resti per altro verso assicurata la pos­sibilità per tutte le parti del giudizio di esprimer­vi le proprie difese, sia pure entro termini necessa­riamente ridotti rispetto a quelli previsti in via ordinaria dal codice di rito;

- in difetto di un'auspicabile disciplina dei giudizi aventi ad oggetto siffatte questioni, che tenga conto dei tempi scanditi in materia elettorale dalla costi­tuzione, non appare praticabile altra soluzione che questa;

- occorre passare quindi all'esame nel merito di quanto nel ricorso si sostiene;

- la tesi in primo luogo prospettata da parte ricorren­te è che vi sia un difetto assoluto di giurisdizione (tanto del giudice amministrativo che di quello ordi­nario) a conoscere delle controversie in tema di am­missione o di esclusione dei simboli di lista nelle elezioni politiche nazionali; difetto desumibile dal­la circostanza che l'art. 87 del d.p.r. n. 361 del 1957, richiamato in tema dì elezioni del Senato dall'art. 27 del d. lgs. n. 533 del 1993, espressa­mente riserva all' assemblea elettiva la convalida dell'elezione dei propri componenti, nonché il giudi­zio definitivo su ogni contestazione, protesta o re­clamo presentati ai singoli uffici elettorali ed all'ufficio centrale durante la loro attività o po­steriormente;

- proprio facendo leva su questa disposizione, attuati-va del principio di autodichia delle Camere, espresso dall'art. 66 cost., questa corte ha già avuto modo di affermare che ogni questione concernente le operazio­ni elettorali, ivi comprese quelle relative all'ammissione delle liste, compete in via esclusiva al giudizio di dette Camere, restando così preclusa qualsivoglia possibilità di intervento in proposito di qualsiasi autorità giudiziaria (sez. un. n° 8118 e n° 8119 del 2006);

- non si ravvisano ragioni per discostarsi da tale orientamento, né, in particolare, appare a tal ri­guardo pertinente il richiamo all' ordinanza della Corte costituzionale n. 117 del 2006, che si legge nel provvedimento del Consiglio di Stato qui critica­to dai ricorrenti : detta ordinanza del giudice delle leggi, infatti, ha semplicemente escluso che, in presenza del diniego sia del giudice amministrativo sia della Giunta per le elezioni della Camera dei deputa­ti ("quale organo avente natura giurisdizionale") di pronunciarsi su una questione di ammissione delle li­ste elettorali possa configurarsi un conflitto di at­tribuzione fra poteri dello Stato, tale da giustifi­care l'intervento risolutore della Corte costituzio­nale, trattandosi invece di un conflitto (negativo) di giurisdizione da risolvere a termini del codice di procedura civile;

- anche siffatta impostazione del giudice costituziona­le muove, dunque, dal presupposto della natura giurisdizionale della funzione di autodichia svolta in proposito dalle Camere del Parlamento attraverso pro­pri organi (per riferimenti in argomento si vedano anche le motivazioni di Corte cost. n° 66 del 1964, n°115 del 1972, n°231 del 1975 e n° 29 del 2003); innegabilmente si tratta di una funzione giurisdizio­nale, da intendersi non in senso stretto, attesa la natura affatto speciale dell'organo cui è demandata (per cui in dottrina vi è chi ha parlato al riguardo di "controllo costituzionale di legittimità" o anche, icasticamente, di "giustizia politica"); tanto si desume anche dai lavori dell'Assemblea co­stituente in cui furono scartate opzioni volte a prevedere forme dì controllo giurisdizionale in senso stretto, affidate a tribunali a composizione mista (giudici e parlamentari) o alla Corte di cassazione in composizione speciale, e prevalse invece l'intento di assicurare in massimo grado l'autonomia e l'indipendenza del Parlamento rispetto al rischio di possibile interferenza di altri poteri: sicché si preferì confermare in proposito l'impostazione dello Statuto albertino;

- si tratta, proprio per questa ragione, di una funzio­ne giurisdizionale esclusiva, la cui estensione anche alla fase preparatoria elettorale, ed in particolare alle questioni di ammissione o esclusione delle liste dalla competizione, discende dalle considerazioni già svolte nelle citate sentenze di questa corte n° 8118 e n° 8119 del 2006, cui non vale contrapporre un as­serito diverso orientamento sul punto delle competen­ti giunte parlamentari: sia perché le posizioni di volta in volta assunte da tali giunte non appaiono sufficientemente univoche, sia perché è la giunta no­minata dalla Camera parlamentare risultante dalla nuova elezione a doversi pronunciare sulla questione, sia infine perché alla appena ricordata autonomia ed indipendenza del Parlamento nell'esercizio delle sue prerogative costituzionali fa nessariamente da con­io trappeso l'autonomia e l'indipendenza della Corte di cassazione nell'esercizio della sua funzione nomofilattica;

- sul punto non è configurabile un conflitto di attri­buzione tra poteri dello Stato, ma semmai un mero conflitto di giurisdizione - come già ricordato dalla citata Corte cost. n° 117 del 2006 - alla risoluzione del quale solo il legislatore potrebbe por mano (a tale ultimo riguardo si veda anche Corte cost. n° 512 del 2000);

- alla stregua delle considerazioni che precedono que­sta corte reputa, dunque, di dover dare continuità al proprio orientamento, confermando che né il giudice amministrativo né il giudice ordinario sono dotati di giurisdizione in ordine alla controversia di cui si tratta, ed in tal senso può parlarsi di difetto asso­luto di giurisdizione;

- la circostanza che la tutela giurisdizionale competa ad un organo speciale, quale è la giunta parlamenta­re, non implica un inammissibile vuoto di tutela, quantunque comporti il differimento della tutela me­desima ad un momento successivo alla conclusione del­la consultazione elettorale {essendo evidentemente la giunta parlamentare competente quella espressa dalla Camera del Parlamento eletto), in coerenza del resto con le medesime indifferibili esigenze di speditezza del procedimento elettorale che 1'art. 61 cost. po­stula e delle quali si è già prima avuto modo di par­lare : esigenze che non sarebbe agevole - e talvolta sarebbe anzi del tutto impossibile - conciliare con una forma compiuta di tutela giurisdizionale preven­tiva idonea a metter capo ad una pronuncia definiti­va;

- le ulteriori questioni prospettate nel ricorso appai­no esulare dai limiti del regolamento preventivo di giurisdizione;

- la peculiarità della fattispecie giustifica la com­pensazione delle spese del giudizio.

P.Q.M.

La corte, pronunciando sul ricorso, dichiara il di­fetto assoluto di giurisdizione e compensa tra le parti le spese del procedimento.

Così deciso, in Roma, il 8 aprile 2008.

Il presidente

Vincenzo Carbone

Deposito in cancelleria: 8 aprile 2008.

mercoledì 9 aprile 2008

Genitori, responsabilità civile, per omessa vigilanza o carente educazione

Corte Cassazione, III sezione civile, Sentenza 13 febbraio – 14 marzo 2008, n. 7050

Sulla portata della responsabilità per omessa vigilanza o educazione del genitore interviene con i seguenti principi: "Ai sensi dell'art. 2048 cod. civ., i genitori sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori che abitano con essi, sia per quanto concerne gli illeciti comportamenti che siano frutto di omessa o carente sorveglianza; sia per quanto concerne gli illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell'attività educativa, che si manifestino nel mancato rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si trovi ad operare.

L'eventuale allontanamento del minore dalla casa dei genitori non vale di per sé ad esimere i genitori stessi da responsabilità, ove l'illecito comportamento del figlio sia riconducibile non all'omissione della contingente e quotidiana sorveglianza sul comportamento di lui, ma alle suddette, oggettive carenze educative.

In quest'ultimo ambito rientrano i danni provocati dalle manifestazioni di indisciplina, negligenza o irresponsabilità, nello svolgimento di attività suscettibili di arrecare danno a terzi, fra cui in particolare l'inosservanza delle norme della circolazione stradale".


SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE

SEZIONE III CIVILE

Sentenza 13 febbraio – 14 marzo 2008, n. 7050

(Presidente Preden – Relatore Lanzillo)

Svolgimento del processo

Con atto notificato il 12.6.1990 Sa.Ro. e T.G. esponevano che in data 11.3.1989 il figlio S., minorenne, alla guida del suo ciclomotore, era stato coinvolto in uno scontro con altro ciclomotore, condotto da A.B., anch'egli minorenne, e convenivano per il risarcimento dei danni i genitori del B., E.B. e D.A..

Il Tribunale di Arezzo accertava la responsabilità di B.A., nella causazione del sinistro, e condannava i genitori al risarcimento dei danni, nella misura di L. 71.812.217, in applicazione dell'art. 2048 cod. civ..

Con sentenza n. 509 del 2003 la Corte di appello di Firenze, in riforma della sentenza di primo grado, ha escluso l'imputabilità ai genitori di A.B. della responsabilità per danni, con la motivazione che, alla data dell'incidente, la loro coabitazione con il figlio (all'epoca sedicenne) era cessata da due anni, essendosi questi trasferito a vivere con il fratello, per ragioni di lavoro.

Con atto 30.4.2004 S.R. ha proposto ricorso per cassazione per un unico motivo, a cui resistono i B. con controricorso.

Motivi della decisione

1.- Con l'unico motivo il ricorrente deduce la violazione dell'art. 2048 cod. civ. e l'erronea e contraddittoria motivazione, sia perché il trasferimento del minore responsabile presso il fratello era da ritenere temporaneo e contingente, recandosi regolarmente la madre presso l'abitazione dei figli per provvedere alle loro necessità; sia perché l'art. 2048 c.c. è stato male interpretato, non venendo meno la coabitazione con i genitori nel caso di spostamento dei figli per ragioni di lavoro.

2.- Il ricorso è manifestamente fondato.

I criteri in base ai quali va imputata ai genitori la responsabilità per gli atti illeciti compiuti dai figli minori consistono sia nel potere-dovere di esercitare la vigilanza sul comportamento dei figli stessi, in relazione al quale potere-dovere assume rilievo determinante il perdurare della coabitazione; sia anche e soprattutto nell'obbligo di svolgere adeguata attività formativa, impartendo ai figli l'educazione al rispetto delle regole della civile coesistenza, nei rapporti con il prossimo e nello svolgimento delle attività extrafamiliari (Cass. civ., Sez. I, 24 maggio 1994 n. 5063; Cass. civ., Sez. 3, 11 agosto 1997 n. 7459).

Ne consegue che la responsabilità dei genitori non può ritenersi esclusa per il solo fatto del temporaneo allontanamento del minore dalla casa familiare, qualora l'illecito da lui commesso consista nel mancato rispetto delle regole di comportamento vigenti nel contesto sociale, in termini tali da manifestare oggettive carenze dell'attività educativa.

La negligenza, l'indisciplina e l'irresponsabilità nella condotta di guida, in termini tali da mettere a rischio i beni o l'incolumità altrui, costituiscono per l'appunto manifestazione di tal genere di comportamenti.

Erroneamente, pertanto, la Corte di appello ha ritenuto che il mero fatto dell'allontanamento del minore dalla casa paterna valga di per sé ad esonerare i genitori da responsabilità, potendo le carenze educative protrarre i loro effetti anche per il tempo successivo alla cessazione della coabitazione.

3.- La sentenza impugnata deve essere pertanto cassata, con rinvio della causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, affinché decida la controversia uniformandosi ai seguenti principi di diritto:

"Ai sensi dell'art. 2048 cod. civ., i genitori sono responsabili dei danni cagionati dai figli minori che abitano con essi, sia per quanto concerne gli illeciti comportamenti che siano frutto di omessa o carente sorveglianza; sia per quanto concerne gli illeciti riconducibili ad oggettive carenze nell'attività educativa, che si manifestino nel mancato rispetto delle regole della civile coesistenza, vigenti nei diversi ambiti del contesto sociale in cui il soggetto si trovi ad operare.

L'eventuale allontanamento del minore dalla casa dei genitori non vale di per sé ad esimere i genitori stessi da responsabilità, ove l'illecito comportamento del figlio sia riconducibile non all'omissione della contingente e quotidiana sorveglianza sul comportamento di lui, ma alle suddette, oggettive carenze educative.

In quest'ultimo ambito rientrano i danni provocati dalle manifestazioni di indisciplina, negligenza o irresponsabilità, nello svolgimento di attività suscettibili di arrecare danno a terzi, fra cui in particolare l'inosservanza delle norme della circolazione stradale".

4.- La Corte di rinvio deciderà anche in ordine alle spese del presente giudizio.

P.Q.M.

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso, Cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte di appello di Firenze, in diversa composizione, che Reciderà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

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