lunedì 27 agosto 2007

Valutazione compatibilità idraulica, sussiste la competenza dei geologi e degli ingegneri idraulici

TAR Veneto, sez. I, sentenza 12.04.2007 n° 1500

Lo studio della composizione del suolo e le sue inferenze idrogeologiche rilevano indubbiamente ai fini dell’effettuazione della “valutazione di compatibilità idraulica”. Per tale ragione, mentre non può ritenersi illegittima l’individuazione della professionalità dell’ingegnere idraulico per redigere siffatti studi, non può d’altra parte essere escluso il geologo dalla previsione astratta, le quante volte l’apporto delle sue competenze specifiche risulti necessario o utile per la più adeguata redazione delle menzionate valutazioni.

Una delibera della regione non può escludere dalla valutazione della compatibilità idraulica i geologi, a favore dei soli ingegneri; diversamente, tale delibera è illegittima.


T.A.R.

Veneto

Sezione I

Sentenza 17 maggio 2007, n. 1500

(Presidente Amoroso – Relatore Franco)

Fatto

In via di attuazione della normativa nazionale che prevede la formazione del Pai (piano per l’assetto idrogeologico) contenente l’individuazione delle zone a rischio, al fine di ridurre il dissesto idrogeologico e prevenire eventi calamitosi derivanti dall’eccessiva antropizzazione del territorio, la Regione Veneto disponeva –con delibera della G.R. n. 3637 del 13.12.2002, che ogni nuovo strumento urbanistico, e relative varianti (generali o che comportino trasformazioni territoriali tali da modificare il regime idraulico) fosse accompagnato da una “valutazione di compatibilità idraulica”. Nell’allegato recante le “modalità operative e le indicazioni tecniche” si stabiliva che detto studio fosse redatto da “un tecnico di comprovata esperienza nel settore”, senza altra specificazione. Così i professionisti iscritti all’Ordine dei geologi hanno sottoscritto “valutazioni di compatibilità idrauliche, allegati a strumenti urbanistici” di vari comuni.

Successivamente, con DGR n. 322 del 10.05.2006, la Regione, al dichiarato scopo di adeguare detto studio alla nuova legge regionale urbanistica (n. 11/2004), ha dettato ulteriori indicazioni e modalità operative, prevedendo nell’allegato A che “gli studi… dovranno essere redatti da un ingegnere, con laurea di 2° livello, con profilo di studi e comprovata esperienza nel settore dell’idrologia e dell’idraulica che potrà avvalersi della collaborazione di altre professionalità per particolari problematiche da affrontare”.

Contro tali determinazioni –che hanno introdotto un’esclusiva professionale a favore degli ingegneri- insorge l’Ordine dei geologi con il ricorso in epigrafe, premettendo di agire a tutela degli interessi professionali degli iscritti (ciò che rientra nei suoi compiti istituzionali), e di essere a tal fine legittimato quale ente esponenziale della categoria che rappresenta.

Ciò premesso, con il primo motivo l’Ordine ricorrente deduce violazione dei D.M. 4.08.2000, 4.10.2000 e 28.11.2000, dell’art. 3 della legge n. 112/63, dell’art. 41 del DPR n. 328/2001, dell’art. 3 del DPR n. 981/82 e dell’art. 36 del D.M. 18.11.71; eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà estrinseca.

Si sostiene che, con la nuova DGR n. 322/2006 –dove pure si dichiara, con l’intento di prevenire dissesti idraulici e di individuare soluzioni corrette dal punto di vista dell’assetto idraulico del territorio, che gli studi in questione dovranno contenere la descrizione delle caratteristiche dei luoghi, in specie le caratteristiche geomorfologiche, geotecniche e geologiche, con l’individuazione della permeabilità dei terreni (se significative ai fini della compatibilità idraulica), oltre che la caratterizzazione idrologica e idrografica, con l’indicazione delle misure compensative- vengono violate le norme inerenti alle competenze professionali dei geologi. Infatti, evidentissime sono le premesse di ordine geologico, geomorfologico e geotecnica della “valutazione” in discussione, che tutte hanno attinenza con le menzionate competenze professionali, come mostra la normativa invocata, in particolare l’allegato 16 al D.M. 4.08.2000 e l’allegato 86 al D.M. 28.11.2000, per i quali i laureati delle classi di laurea in scienza della terra e delle lauree specialistiche in scienze geologiche svolgeranno attività professionali in diversi ambiti, quali: mitigazione dei rischi geologici e ambientali. In tali corsi di studi è inserito l’esame di idrogeologia (in tal senso anche i DPR n. 981/82 e 328/2001, il cui art. 42 include anche le discipline di idraulica agraria e sistemazioni idraulico-forestali), laddove l’art. 3 della legge 3.02.63 n. 112 individua tra le attività oggetto precipuo della professione “indagini geologiche relative alle acque superficiali e sotterranee”. Anche la tariffa professionale prevede apposita voce per gli studi di carattere idrogeologico.

Infine, il consiglio nazionale dei geologi ha approvato nel 1996 una “tariffa unica per le prestazioni svolte sia dagli ingegneri sia dai geologi nella redazione dei piani di emergenza per le situazioni di rischio idraulico”. D’altronde vari professionisti iscritti all’albo dei geologi hanno redatto, quali unici responsabili, relazioni inerenti ad analisi del rischio idraulico.

Con il secondo mezzo si deduce eccesso di potere per illogicità manifesta e contraddittorietà con precedenti determinazioni, sul rilievo che la disposta esclusiva professionale a favore degli ingegneri non tiene conto del fatto che dalle differenti situazioni geologiche, geomorfologiche e idrauliche dei vari territori dipenderà l’individuazione del tecnico maggiormente competente a redigere la valutazione di compatibilità idraulica, risultando opportuno, a seconda dei casi, incaricare un ingegnere idraulico o un geologo, o adottare un approccio interdisciplinare. Ciò è in linea, del resto, con la giurisprudenza che individua settori di attività professionale “mista”, in cui non è configurabile una esclusiva a favore di determinati professionisti, ma prestazioni concorrenti di diverse figure professionali, tanto che i consigli nazionali degli ingegneri e dei geologi hanno elaborato la già ricordata tariffa unica per le rispettive prestazioni correlate ai piani di emergenza per le situazioni di rischio idraulico.

Si è costituita la Regione, che, rimettendo al Collegio la valutazione circa l’esistenza di una posizione legittimante dell’Ordine ricorrente, eccepisce carenza di interesse, poiché la disposizione avversata non impedisce che l’ingegnere incaricato possa avvalersi di un geologo (anche per decisione dei singoli comuni), figura comunque non comparabile a quella dell’ingegnere idraulico; che la predisposizione dello studio in questione non rientra nelle attività di cui all’art. 3 della legge n. 112/63; che la tariffa unica rileva unicamente in relazione ai piani di emergenza.

Si sono costituiti anche gli ordini provinciali controinteressati, eccependo che nelle competenze professionali dei geologi non figura l’idraulica, e che la “valutazione” in questione va ben oltre la mera indagine geologica, con successive memorie sottolineando la validità della scelta della regione, per essere l’ingegnere idraulico la figura professionale adatta, alla luce del curriculum di studi e degli esami da superare per conseguire la relativa laurea, laddove più settoriali risultano gli studi del geologo, nel cui corso di laurea figura l’idrogeologia e non l’idraulica. Dunque, risultano distinte le rispettive aree di intervento.

Con memoria conclusionale parte ricorrente replica alle eccezioni di difetto di legittimazione e di interesse, confutando l’assunto che l’idrogeologia non avrebbe a che fare con l’idraulica, tanto che la stessa DGR impugnata si riferisce a tale disciplina.

All’udienza i difensori comparsi hanno ribadito le rispettive domande ed eccezioni, dopo di che la causa è stata spedita in decisione.

Diritto

1.1- Preliminarmente occorre formulare qualche considerazione in ordine all’eccezione di difetto di legittimazione, soltanto adombrata dal patrocinio della P.A. resistente.

Al riguardo non sembrano sussistere dubbi che l’Ordine degli ingegneri –come, del resto, qualsiasi altro ordine professionale-, in quanto organo rappresentativo ed esponenziale degli interessi della categoria cui appartengono gli associati, è legittimato a farsi paladino di detti interessi, allorquando gli stessi si assumano lesi da determinazioni o comportamenti di altri soggetti, segnatamente –per quanto qui interessa- da provvedimenti di enti ed organi della P.A.

Tale assunto è maggiormente evidente, del resto, allorquando –come nel caso di specie- l’Ordine agisca a tutela non degli interessi di taluni singoli iscritti, bensì degli interessi professionali degli associati in quanto tali, vale a dire dell’intera categoria rappresentata, intendendo come un vulnus alla figura professionale rappresentata le determinazioni della P.A. avversate. Orbene, poiché la deprivazione di possibili incarichi conferiti dai Comuni in considerazione della qualità di geologo (a maggior ragione quando questi erano consentiti in precedenza) rappresenta certamente un vulnus per la figura del geologo, sotto il profilo professionale ed anche economico, l’Ordine qui ricorrente deve ritenersi dotato della legittimazione ad agire in giudizio onde contrastare dette misure lesive per i professionisti rappresentati.

2- La Regione ha anche eccepito, con maggior convinzione, il difetto di interesse, sulla scorta della considerazione che nella DGR avversata non vi è un’aprioristica esclusione dei geologi dall’incarico di stendere le “valutazioni di compatibilità idraulica”, potendo il tecnico a tal fine individuato (l’ingegnere idraulico) avvalersi della collaborazione di altri professionisti, quale un geologo, “qualora debbano essere valutate le caratteristiche geomorfologiche, geotecniche e geologiche con l’individuazione della permeabilità dei terreni, laddove tali caratteristiche possano essere significative ai fini della compatibilità idraulica”.

Ebbene, l’assunto che non sussiste interesse all’impugnazione solo perché l’ingegnere incaricato dal Comune può decidere, sua sponte, di avvalersi di un geologo, appare senz’altro eccessivo, ed anzi erroneo.

I geologi, invero, hanno certamente interesse a che la P.A. competente a conferire l’incarico sia non vincolata ad individuare, prima facie, un ingegnere idraulico, ma libera di individuare il professionista più adatto a compilare lo studio in discussione potendo scegliere se incaricare, in alternativa all’ingegnere, ovvero anche in aggiunta, un geologo. Viceversa, nella DGR avversata si prevede come mera facoltà del tecnico incaricato la scelta se avvalersi, o meno (e ciò, certamente, tra l’altro, in funzione ausiliaria o ancillare) di altre professionalità. Come si vede, la possibilità che venga individuato (non dalla P.A., ma) dal professionista prescelto, anche un geologo per collaborare alla stesura della “valutazione”, è del tutto eventuale e comunque subordinata alle decisioni del tecnico incaricato. Palese, dunque, è l’interesse a contrastare siffatte determinazioni da parte dei geologi, attraverso il loro ordine professionale.

3- Si può, ora passare ad esaminare il merito delle questioni sottoposte al Collegio, quali si evincono dalla narrativa in fatto che precede.

Una considerazione preliminare attiene al raffronto tra le due delibere della giunta regionale retro richiamate (la DGR n. 1322 del 10.05.2006, qui impugnata, e DGR n. 3637 del 13.12.2002), inerenti al medesimo oggetto e con le medesime finalità. Nel passaggio dall’una all’altra, invero, la P.A. resistente ha adottato formule diverse in relazione al punto (contenuto in entrambi i casi nell’allegato a tali delibere) dell’individuazione del tecnico cui conferire l’incarico di effettuare la “valutazione di compatibilità idraulica”, all’apparenza innocue o neutre, ma tali, comunque, da incidere significativamente sulla sfera giuridica dei geologi.

Nella DGR pregressa non si menzionava alcuna figura professionale, lasciando la scelta ai Comuni del cui strumento urbanistico (o relativa variante) si tratta. Certamente si poteva ritenere eccessivamente generica siffatta dicitura (“lo studio… dovrà essere redatto da un tecnico di comprovata esperienza”), ragion per cui in astratto se ne poteva auspicare la revisione; sta di fatto, comunque, che –dal punto di vista dell’odierno ricorrente- tale formulazione rendeva possibile la nomina del professionista ritenuto più adatto, di tal che la scelta poteva ricadere –come è in effetti talora accaduto- su un geologo. Infatti, parte ricorrente ha documentato la redazione, su quella base, di studi di compatibilità ambientale da parte di geologi per conto di diversi Comuni in provincia di Verona e di Vicenza.

Viceversa, nella DGR del 2006, come si è visto, si prescrive che la scelta debba ricadere su un ingegnere idraulico il quale potrà decidere se avvalersi della collaborazione di altre figure professionali in considerazione delle caratteristiche dei luoghi, senza menzionare i geologi. Siffatto cambio di divisamento, se certamente ha condotto a una disposizione più circostanziata e intrinsecamente motivata riguardo all’individuazione del tecnico maggiormente competente, appare, tuttavia, oggettivamente penalizzante nei riguardi dei geologi, nemmeno menzionati fra quelle altre professionalità della cui collaborazione potrebbe (decidere di) avvalersi l’ingegnere incaricato. Insomma, da un’equivalenza sostanziale (nella pregressa DGR del 2002) si è passati ad un chiaro discrimine in quella del 2006, a tutto danno dei geologi.

Il punto è, peraltro - prescindendo da tale indubbio vulnus arrecato in tal modo all’Ordine ricorrente e ai suoi iscritti- accertare se effettivamente possa ritenersi confacente all’esigenza di stendere studi di compatibilità ambientale, da allegare agli strumenti urbanistici nuovi o loro varianti, la sola figura dell’ingegnere idraulico (con laurea di 2° livello), o tale possa considerarsi anche il geologo (con laurea di 2° livello) in scienze geologiche e in geologia tecnica.

Ora, nella disputa svoltasi al fine di dimostrare quale dei due corsi di studi contempli lo studio di discipline più confacenti al rischio idrogeologico, la documentazione prodotta dalle parti in relazione ai curricula e piani di studi rispettivi (si veda, in particolare, la documentazione depositata dall’Ordine degli ingegneri il 9.10.2006 e il 20.11.2006) emerge che più sono le discipline attinenti all’idraulica (come “costruzioni idrauliche”, ecc.) nei corsi di laurea in ingegneria (civile, o per l’ambiente e il territorio) di quante non siano quelle figuranti nel corso di laurea di secondo livello in scienze geologiche (dove, comunque, figura l’esame di idrogeologia, accanto alle materie specifiche attinenti alla composizione del suolo e delle rocce). Il raffronto, ad un primo esame, parrebbe deporre a favore degli ingegneri con laurea in ingegneria idraulica di secondo livello e lauree similari, se riguardato dal punto di vista dell’esigenza di effettuare studi e valutazioni in funzione della prevenzione del rischio idraulico.

Ma il rischio (più latamente) ambientale figura anche nel corso di studi dei geologi, i quali –si è detto- studiano anche idrogeologia. D’altra parte, come evidenziato nella stessa DGR n. 1322/2006, nonché nelle difese spiegate in giudizio, al fine precipuo di effettuare la “valutazione” in discussione, può essere necessario, ben spesso, effettuare la “descrizione delle caratteristiche dei luoghi”, e accertare, tra l’altro (pag. 3), “le caratteristiche geomorfologiche, geotecniche e geologiche, con individuazione della permeabilità dei terreni (laddove tali caratteristiche possano essere significative ai fini della compatibilità idraulica), ciò che rientra pacificamente nelle competenze professionali dei geologi. Inoltre, come osserva il patrocinio ricorrente, l’idrogeologia, lungi dall’essere irrilevante perché non avrebbe a che fare con l’idraulica (come affermato ex adverso), può rivelarsi utile al fine di individuare la risalenza delle falde, freatiche o di subalveo, proprio in correlazione con interventi urbanistici sul territorio.

In definitiva, lo studio della composizione del suolo e le sue inferenze idrogeologiche rilevano indubbiamente ai fini dell’effettuazione della “valutazione di compatibilità idraulica”. Per tale ragione, mentre non può ritenersi illegittima l’individuazione della professionalità dell’ingegnere idraulico per redigere siffatti studi, non può d’altra parte essere escluso il geologo dalla previsione astratta, le quante volte l’apporto delle sue competenze specifiche risulti necessario o utile per la più adeguata redazione delle menzionate valutazioni.

Se quanto fin qui detto è esatto, la Regione non poteva non menzionare esplicitamente il geologo (con laurea di 2° livello) dal novero delle figure professionali cui conferire, da parte dei Comuni, l’incarico di redazione della “valutazione di compatibilità ambientale”, eventualmente in aggiunta all’ingegnere idraulico, in funzione dell’analisi della composizione del suolo e del territorio interessato dallo strumento urbanistico, con la precisazione che la scelta se avvalersi, in concreto, di tale professionista dovrà essere fatta dal Comune medesimo in considerazione dell’esigenza di acclarare le caratteristiche dei luoghi quale esse emergono ad un primo esame, ovvero su segnalazione dell’ingegnere incaricato, ove la necessità di analizzare la composizione del suolo e la situazione delle falde evidenzi la necessità di un approccio interdisciplinare.

Conclusivamente, per le considerazioni su esposte, la DGR impugnata si manifesta illegittima nei soli limiti appena sottolineati. Pertanto il ricorso si manifesta fondato e va accolto, per quanto di ragione. Per l’effetto, è annullata la DGR n. 1322 del 10.052006, nella parte ed entro i limiti specificati. La stessa andrà opportunamente modificata dalla Regione, sulla scorta delle indicazioni di sopra.

Sussistono, tuttavia, giusti motivi per compensare integralmente fra le parti costituite le spese ed onorari di giudizio.

P.Q.M.

Il Tribunale Amministrativo Regionale per il Veneto, Sezione prima, definitivamente pronunziando sul ricorso in epigrafe, respinta ogni altra contraria domanda ed eccezione, lo accoglie, nei limiti specificati in motivazione. Per l’effetto, è annullata la DGR impugnata, nella parte ed entro i limiti indicati in motivazione.

Compensa integralmente fra le parti le spese e onorari di giudizio.

Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.

mercoledì 22 agosto 2007

Età minima per l'ammissione al lavoro passa da 15 a 16 anni

Conseguenza dell'innalzamento dell'obbligo di istruzione ad almeno 10 anni previsto dall'art. 1, comma 622, della Legge Finanziaria 2007.

E' quanto ricorda il Ministero del Lavoro e della previdenza sociale con la nota 20 luglio 2007, n. 9799.


Ministero del Lavoro e della Previdenza Sociale

Direzione generale per l'Attività Ispettiva

Nota prot. 9799 del 20 luglio 2007

Alle Direzioni Regionali e provinciali del lavoro
LORO SEDI

e p.c.

alla Direzione generale della Tutela delle Condizioni di Lavoro
all'Ispettorato regionale del lavoro Di Palermo
all'Ispettorato regionale del lavoro di Catania
alla Provincia autonoma di Trento
alla Provincia autonoma di Bolzano

Oggetto istruzioni operative al personale ispettivo: articolo 1, comma 622 della L. n. 296/2006 (Finanziaria 2007) - Età minima di ammissione al lavoro.

Pervengono da parte di alcuni Uffici territoriali, nonché di diverse associazioni di categoria, richieste di chiarimenti in merito alla durata dell'obbligo di istruzione obbligatoria a dieci anni previsto dall'art. 1, comma 622 della L. n. 296/2007, ed al conseguente innalzamento dell'età di ammissione al lavoro da 15 a 16 anni.

Tale problematica incide in modo rilevante sulla configurazione della fattispecie sanzionatoria di cui all'art. 3 della L. n. 977/1967, che punisce con sanzione penale il mancato rispetto dell'età minima di ammissione al lavoro.

Al riguardo questa Direzione, d'intesa con le Direzioni generali della Tutela delle condizioni di Lavoro e del Mercato del Lavoro, rileva quanto segue.

L'art. 1, comma 622, della Finanziaria prevede che "l'istruzione impartita per almeno dieci anni è obbligatoria ed è finalizzata a consentire il conseguimento di un titolo di studio di scuola secondaria superiore o di una qualifica professionale di durata almeno triennale entro il diciottesimo anno di età. L'età per l'accesso al lavoro è conseguentemente elevata da 15 a 16 anni". L'ultimo capoverso dello stesso comma 622 rimanda espressamente la decorrenza dell'innalzamento dell'obbligo di istruzione dall'anno scolastico 2007/2008.

Com'è noto l'art. 37 della Costituzione prevede che sia la legge a stabilire il limite minimo di età per il lavoro salariato e tale limite è stato disciplinato dall'art. 3 della L. n. 977/1967, che come modificato dall'art. 5 del D.Lgs n. 345/1999, così recita: "l'età minima di ammissione al lavoro è fissata al momento in cui il minore ha concluso il periodo di istruzione obbligatoria e comunque non inferiore ai 15 anni compiuti". In tal modo si afferma il principio in virtù del quale l'età minima di ammissione al lavoro non può essere inferiore all'età in cui cessa l'obbligo scolastico evidenziando il collegamento funzionale che esiste tra assolvimento dell'obbligo scolastico ed accesso al lavoro. Infatti l'assolvimento del suddetto obbligo, volto a tutelare la crescita psicointelletiva del minore, fa presumere raggiunta da parte del minore la maturità necessaria affinché possa svolgere legittimamente attività lavorativa. E' proprio questo il principio che è stato espresso da ultimo dalla recente Legge Finanziaria, in particolare ove si afferma che l'innalzamento dell'obbligo di istruzione ad almeno 10 anni determina quale "conseguenza" l'aumento da 15 a 16 anni dell'età per l'accesso al lavoro.

Premesso quanto sopra, indipendentemente dal fatto che le Legge Finanziaria sia entrata in vigore dal 1° gennaio 2007, poiché la stessa fa espressamente decorrere l'innalzamento dell'obbligo di istruzione a far data "dall'anno scolastico 2007/2008" si ritiene che "conseguentemente" solo dal 1° settembre 2007 decorra anche l'innalzamento a 16 anni dell'età di ingresso al lavoro per i minori.

IL DIRETTORE GENERALE
(Dr. Mario Notaro)

Consulenza tecnica nel processo civile, valore di prova, motivazione, non debenza


Si ribadisce il principio secondo cui «la parte che addebita alla consulenza tecnica d'ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (e nella sentenza che l'ha recepita) ha, innanzitutto, l'onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente di ufficio”.

Altro principio consolidato è che «spetta al giudice di merito scegliere le risultanze probatorie ritenute decisive, sicché la Corte di appello ben poteva basarsi sugli accertamenti dell'ausiliare atteso che la consulenza tecnica, pur avendo di regola la funzione di fornire al giudice una valutazione relativa a fatti già provati nel processo, può legittimamente costituire fonte oggettiva di prova qualora sia stata disposta non soltanto per valutare i fatti stessi, ma anche per accertare quelli rilevabili soltanto con l'ausilio di un perito» (Cass. 5344/2004).

Ed ancora, “la consulenza tecnica di parte, per altro verso, costituisce semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, rispetto alla quale il giudice non è tenuto a motivare il proprio dissenso (Cass. 14 novembre 2002, n. 16030; Cass. 6753/2003; 2707/2004; 7078/2006)”.



Cassazione Sezione II civile Sentenza 13 giugno 2007, n. 13845

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione del 1° agosto 1994 la s.n.c. Alfa, con sede in Peveragno, convenne innanzi al Tribunale di Cuneo la s.r.l. Beta chiedendo il risarcimento dei danni asseritamente subiti per la cattiva esecuzione dei lavori di riparazione effettuati dalla convenuta di un generatore di corrente. Alla stessa era stata richiesta la sostituzione della scheda che regolava la tensione. I tecnici inviati per la verifica avevano sottoposto il generatore ad un carico eccessivo e si era reso necessario il trasporto della macchina presso l'officina della convenuta dove era stata eseguita la sostituzione del regolatore elettronico di tensione, dell'avvolgimento del motore e di sei diodi. Dopo la messa in uso, il gruppo elettrogeno aveva mostrato l'inconveniente, prima mai manifestatosi, di una tensione in uscita superiore ai valori normali. I tecnici della Beta non avevano risolto il problema e l'attrice aveva subito l'interruzione del normale ciclo produttivo, con un danno ammontante a Lire 201.205.000. La convenuta resistette alla domanda e chiese in riconvenzionale il pagamento del saldo per Lire 3.391.500.

La domanda venne respinta dal Tribunale per carenza di prova sul nesso eziologico tra gli inconvenienti manifestatisi e gli interventi della convenuta. Venne accolta la domanda riconvenzionale.

L'appello proposto dalla soccombente Alfa s.n.c. venne accolto dalla Corte di appello di Torino, con sentenza del 5 maggio 2000. Ritenne la Corte che gli episodi verificatisi dopo la sostituzione del "regolatore di tensione" fossero attribuibili alla riparazione male eseguita, posto che il regolatore di corrente compaund, il cui cattivo funzionamento, secondo il c.t.u., avrebbe potuto determinare le sovratensioni, «non era qualcosa di diverso dal regolatore di tensione».

Con atto notificato il 28 febbraio 2001 la Beta chiese la revocazione di detta sentenza per errore di fatto consistito nell'avere la Corte di appello ritenuto che «il regolatore di corrente e quello di tensione fossero lo stessa cosa».

La Corte di appello di Torino, con sentenza del 13 agosto 2002 ha revocato quella del 5 maggio 2000 e, decidendo nel merito, ha respinto l'appello proposto dalla Alfa s.n.c. avverso la sentenza del Tribunale.

La Corte piemontese ha osservato:

a) era erronea l'affermazione che il regolatore di corrente era la stessa cosa del regolatore di tensione posto che pacificamente il gruppo elettrogeno era dotato di entrambe le componenti;

b) la sentenza della Corte era stata influenzata dalla equiparazione-identificazione dei due apparecchi, giungendo alla conclusione che le cause della sovratensione non potevano che attribuirsi al cattivo funzionamento dell'unico apparecchio «che regolava sia la corrente che la tensione e sul quale era intervenuta la Beta che lo aveva riparato»;

c) che tale errore di fatto aveva determinato la non corretta valutazione della consulenza tecnica nella quale si affermava che «non essendo stato possibile l'esame del regolatore di corrente, rimosso dalla Beta, non era più possibile accertare se le sovratensioni erano imputabili al cattivo funzionamento di quest'ultimo o al cattivo funzionamento del regolatore di tension»".

Quanto al merito, la Corte di appello ha ritenuto che la sentenza di primo grado dovesse essere confermata data la impossibilità di accertare la causa delle sovratensioni, come era risultato dai rilievi del c.t.u., e non essendo necessario un nuovo accertamento che non avrebbe consentito di individuare l'apparecchio non correttamente funzionante. Nessun altro incombente istruttorio era stato richiesto e non sarebbe stato risolutivo l'accertamento sulla interdipendenza dei due apparecchi né era rilevante la circostanza che le sovratensioni si erano manifestate dopo le riparazioni.

Avverso detta sentenza, notificata il 6 giugno 2003, ha proposto ricorso per cassazione la Alfa s.n.c. con tre motivi illustrati da memoria, cui resiste con controricorso la Beta s.r.l.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, denunziandosi violazione dell'art. 395 c.p.c., si sostiene l'insussistenza dello specifico errore di fatto revocatorio poiché dalla sentenza revocata risultava che la Corte di appello era perfettamente consapevole della differenza tra il regolatore di corrente ed il regolatore di tensione e che la ratio decidendi non era consistita nella pretesa identificazione tra i due apparecchi.

Il motivo non è fondato.

Dalla sentenza revocata non emerge affatto che la Corte di appello fosse cosciente che regolatore di tensione e regolatore di corrente fossero due cose diverse e che la confusione sia, quindi, da attribuirsi ad un errore di giudizio, e ciò nonostante che la Corte abbia usato due diverse terminologie per indicare l'apparecchio che ha ritenuto essere unico (regolatore di corrente compound e regolatore di tensione), attribuendo al malfunzionamento di questo la causa degli inconvenienti. Dalla consulenza tecnica risultava che il generatore era dotato di entrambe le apparecchiature (vedi sent. rescindente a pag. 9) e tale affermazione non viene smentita, per cui è evidente che la Corte di appello, avendo trattato i due apparecchi come fossero una cosa sola, aveva fatto una affermazione smentita dagli atti.

Tale errore è(ra) stato decisivo perché, essendo pacifico che la Beta intervenne (sostituendolo) sul regolatore di tensione e che il c.t.u. aveva affermato che «le cause delle sovratensioni possono essere ascritte al regolatore di corrente», la sentenza revocata aveva concluso che la causa delle sovratensioni non poteva che essere ravvisata nel cattivo funzionamento dell'(unico) apparecchio su cui era intervenuta la Beta, che regolava sia la corrente che la tensione, dando rilievo all'affermazione del c.t.u. sull'erroneo presupposto che regolatore di corrente (su cui non era intervenuta la Beta) e di tensione (oggetto dell'intervento) fossero la stessa cosa.

2. Col secondo mezzo si denunzia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione per essersi la sentenza di revocazione basata su un mero inciso della motivazione della sentenza revocata, peraltro contraddetto da «altre affermazioni rinvenibili nella parte motiva».

Neppure questa censura e fondata.

La decisività della erronea identificazione dei due (diversi) apparecchi non è, intanto, sminuita dal fatto che l'affermazione fosse posta tra parentesi, atteso il rilievo che tale affermazione, a prescindere dalla collocazione grafica, comunque assume(va) nel contesto della ratio decidendi. Non è esatto, inoltre, che l'affermata unicità dell'apparecchio fosse contraddittoria e smentita con/da altre affermazioni contenute nella sentenza stessa, sicché - come già detto - deve escludersi che la Corte di appello aveva ritenuto le identità delle due cose pur essendo conscia della differenza.

3. Col terzo mezzo, denunziandosi ulteriore vizio di motivazione su punto decisivo della controversia, si sostiene che, nell'affermare la impossibilità di accertare le cause del difetto, la Corte di appello, nella sentenza oggetto del presente ricorso, non aveva tenuto conto delle contestazioni del consulente tecnico di parte e delle considerazioni tecniche svolte dalla ricorrente in comparsa conclusionale, nella quale si era ampiamente dimostrato che il regolatore di tensione non aveva le caratteristiche tecniche adeguate. Le obiezioni formulate non avevano trovato adeguata risposta nella motivazione della Corte, che non aveva neppure accennato alle tesi prospettate dalla Alfa s.n.c.

Il motivo, prima che infondato, è inammissibile.

La consulenza tecnica non viene adeguatamente censurata né lo è la sentenza che su di essa si è basata.

Per quanto concerne le denunziate carenze della consulenza tecnica, occorre ribadire il principio secondo cui «la parte che addebita alla consulenza tecnica d'ufficio lacune di accertamento o errori di valutazione oppure si duole di erronei apprezzamenti contenuti in essa (e nella sentenza che l'ha recepita) ha, innanzitutto, l'onere di trascrivere integralmente nel ricorso per cassazione almeno i passaggi salienti e non condivisi e di riportare, poi, il contenuto specifico delle critiche ad essi sollevate, al fine di evidenziare gli errori commessi dal giudice del merito nel limitarsi a recepirla e nel trascurare completamente le critiche formulate in ordine agli accertamenti ed alle conclusioni del consulente di ufficio.

In definitiva, le critiche mosse alla consulenza ed alla sentenza devono possedere un grado di specificità tale da consentire alla Corte di legittimità di apprezzarne la decisività direttamente in base al ricorso».

Ebbene, nella specie, il ricorrente non ha riportato né i brani della consulenza contestati né le critiche ad essa mosse, sottraendosi all'osservanza del principio di autosufficienza del ricorso.

D'altra parte è principio consolidato che «spetta al giudice di merito scegliere le risultanze probatorie ritenute decisive, sicché la Corte di appello ben poteva basarsi sugli accertamenti dell'ausiliare atteso che la consulenza tecnica, pur avendo di regola la funzione di fornire al giudice una valutazione relativa a fatti già provati nel processo, può legittimamente costituire fonte oggettiva di prova qualora sia stata disposta non soltanto per valutare i fatti stessi, ma anche per accertare quelli rilevabili soltanto con l'ausilio di un perito» (Cass. 5344/2004).

La consulenza tecnica di parte, per altro verso, costituisce semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, rispetto alla quale il giudice non è tenuto a motivare il proprio dissenso (Cass. 14 novembre 2002, n. 16030; Cass. 6753/2003; 2707/2004; 7078/2006).

4. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

5. Consegue la condanna della ricorrente alle spese, liquidate come nel dispositivo.

P.Q.M.

La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 3600,00, di cui Euro 3500,00 per onorario, oltre spese fisse, Iva, Cpa ed altri accessori di legge.

giovedì 2 agosto 2007

Proprietario confinante, si al diritto di accesso nella pratica edilizia del vicino

TAR Campania-Salerno, sez. II, sentenza 18.05.2007 n° 597

Il confinante, stante la sua qualità di proprietario dell’immobile confinante a quello del controinteressato, ha diritto non solo alla visione ma anche ad estrarre copia degli atti in esame.

Infatti l’art. 24 della legge n. 241/1990, recentemente novellato dalla legge n. 15/2005 e recante la disciplina dei casi e delle modalità di esclusione dal diritto di accesso, dispone espressamente, al comma 7, che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.”.


T.A.R.

Campania – Salerno

Sezione II

Sentenza 18 maggio 2007, n. 597

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

Il Tribunale Amministrativo Regionale per la Campania

Salerno - 2^ Sezione

composto dai magistrati

dr. Luigi Antonio Esposito - Presidente

Dr. Sabato Guadagno - Consigliere rel.

Dr. Ezio Fedullo - Primo Referendario

ha pronunziato la seguente

SENTENZA

ai sensi dell'art. 25 della legge 7 agosto 1990, n. 241, così come modificato ed integrato dall’art. 4, 3° comma, della L. 21.7.2000 n. 205 e dalla L. n. 15/2005,

sul ricorso n. 462/2007 Reg. Gen., proposto da C. A., rapp.ta e difesa dall’ avv.to Antonio Caolo ed elettivamente domiciliato in Salerno, via V. Loria n.69;

contro

Comune di K., in persona del Sindaco p.t., non costituito in giudizio;

e nei confronti di

C. G., non costituito in giudizio;

per l’annullamento

della determinazione n. 1133/07 di rigetto;

per la declaratoria

- del diritto di parte ricorrente al rilascio in copia della documentazione richiesta con istanza del 11.09.2006, concernente il permesso di costruire rilasciato al proprietario confinante C. G. e dell’obbligo della P.A. al rilascio in copia della suddetta documentazione.

Visto il ricorso ed i relativi allegati;

Visti gli atti tutti della causa;

Udito alla pubblica udienza del 17 maggio 2007 il relatore dr. Guadagno e gli avvocati presenti come da verbale di udienza;

Ritenuto e considerato in fatto e in diritto quanto segue:

FATTO

Con ricorso in epigrafe, parte ricorrente ha chiesto l’annullamento e la declaratoria del suo diritto al rilascio in copia della documentazione richiesta con istanza del 11.09.2006, concernente il permesso di costruire rilasciato al proprietario confinante C. G. e dell’obbligo della P.A. al rilascio in copia della suddetta documentazione, deducendo la violazione della L. n. 241/90, del d.p.r. n. 16/2003 e del d.p.r. 184/06.

Non si è costituito in giudizio il resistente Comune di K..

Alla camera di consiglio del 17.5.2007, il ricorso è stato spedito in decisione

DIRITTO

Il ricorso è fondato.

Al riguardo il Collegio rileva che l’odierna ricorrente ha chiesto la declaratoria del suo diritto al rilascio in copia della documentazione richiesta con istanza del 21 marzo 2005, concernente il permesso di costruire rilasciato al proprietario confinante C. G. e dell’obbligo della P.A. al rilascio in copia della suddetta documentazione.

La domanda di parte ricorrente merita accoglimento, in quanto la stessa nella sua qualità di proprietaria dell’immobile confinante a quello del controinteressato, sig. C., ha diritto non solo alla visione ma anche ad estrarre copia degli atti in esame.

Infatti l’art. 24 della legge n. 241/1990, recentemente novellato dalla legge n. 15/2005 e recante la disciplina dei casi e delle modalità di esclusione dal diritto di accesso, dispone espressamente, al comma 7, che “deve comunque essere garantito ai richiedenti l’accesso ai documenti amministrativi, la cui conoscenza sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici.”.

La normativa suindicata impone taluni limiti soltanto in riferimento a documenti contenenti dati sensibili e giudiziari.

Orbene, se le suindicate statuizioni normative consentono entro determinato limite l’accesso addirittura a documenti, contenenti dati “sensibili”, purché la loro conoscenza risulti necessaria per curare o difendere interessi giuridici, a maggior ragione tale possibilità di accesso deve riconoscersi con riferimento a quella documentazione contenente dati, non oggetto di particolari cautele normative, come nella fattispecie in esame i due provvedimenti suindicati, espressamente richiamati nel diniego di permesso di costruire, adottato dall'intimata Amministrazione Comunale in esito all'istanza di parte ricorrente .

Pertanto, nella fattispecie in esame, il Collegio ritiene ingiustificato ed illegittimo il rifiuto tacito opposto dall’Amministrazione comunale.

D’altronde, in base alla normativa suindicata ed in particolare a quanto statuito dall’art. 22, comma 1 lettera d), della legge n. 241/1990, se anche gli atti provenienti da soggetti privati sono equiparati agli atti amministrativi ai fini dell’accesso, e quindi sono suscettibili di ostensione se utilizzati – come nel caso di specie – ai fini dell’attività amministrativa, indipendentemente dalla loro caratterizzazione soggettiva (pubblicistica o privatistica), purchè abbiano avuto una incidenza nelle determinazioni amministrative (cfr. TAR Veneto, 2 aprile 2004 n. 934; TAR Puglia Bari, 25 settembre 2003 n. 3556), a maggior ragione tale diritto non solo di prenderne visione ma anche di estrarne copia va riconosciuto nei confronti sia dei provvedimenti dell’intimata Amministrazione comunali, che hanno autorizzato il controinteressato all’intervento nell’area in esame.

Pertanto il ricorso va accolto, riconoscendo il diritto di accesso da parte della ricorrente a questi due provvedimenti.

Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

IL TRIBUNALE AMMINISTRATIVO REGIONALE PER LA CAMPANIA

SALERNO -2^ SEZIONE

definitivamente pronunziando sul ricorso di cui all’epigrafe, proposto da C. A., lo accoglie e, per l’effetto, dichiara il Comune di K. a rilasciare copia della documentazione di cui in motivazione.

A tal fine, assegna al Comune di K. il termine di 30 (trenta) giorni decorrenti dalla comunicazione e/o notificazione della presente sentenza.

Condanna il Comune di K. al pagamento in favore del ricorrente, delle spese ed onorari del giudizio, liquidati nella complessiva somma di € 100,00 (mille).

ORDINA che la presente sentenza sia eseguita dall’Autorità amministrativa.

Così deciso in Salerno, nella Camera di Consiglio del 17 maggio 2007.

Dr. Luigi Antonio Esposito - Presidente

Dr. Sabato Guadagno -Consigliere est.

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